Heston Blumenthal

The Fat Duck

High Street
Bray-on-Thames
Gran Bretagna
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«Ogni scienza è nel cuoco», scriveva nel XVII secolo il poeta elisabettiano Ben Jonson. «Più che alchemista, più che Rosacroce/È un architetto, il cuoco, è un ingegnere,/Un soldato, filosofo, scienziato,/e in ogni matematica è versato». Niente di nuovo quindi se oggi gli chef si divertono con grafici, provette e misurini. È la gastronomia molecolare, altrimenti detta cucina scientifica, che conta fra i suoi massimi esponenti un ragazzo nato a Londra nel 1966.

La sua parabola folgorante dà ragione a quanti pensano che chi è digiuno (oppure ha digerito a modo suo) oggi parte avvantaggiato. Perché Heston Blumenthal, oltre che inglese, è anche autodidatta: una tabula rasa pronta a essere scritta dai sismografi della cucina d’avanguardia. Pochi avrebbero scommesso sul suo successo, di sicuro nessuno di quegli chef che cestinarono le sue offerte di lavoro. Già allievo della John Hampden Grammar School, all’età di 16 anni era stato folgorato da una provvidenziale vacanza in Provenza con i genitori. Galeotta fu un’estemporanea tappa all’Oustau de Baumanière, fondato da un autodidatta geniale e sognatore come lui, Raymond Thuilier: la salsa di aragosta versata sul soufflé e il cosciotto di agnello trinciato al carrello gli fecero esclamare «Ho trovato la mia strada». Raymond Blanc fu l’unico a rispondergli, ma l’esperienza fu troppo dura e troppo breve, appena una settimana.

A seguire, Heston ha fatto di tutto di più: apprendista architetto, cameraman, venditore di fotocopiatrici... Ogni briciola di tempo libero era riservata allo studio matto e disperatissimo dei classici della cucina, ogni penny alle trasferte di studio-lavoro nei santuari della gastronomia, in compagnia della moglie. Altra data decisiva il 1986, quando Heston prende in mano il classico di Harold McGee On food and cooking; da lì partono le indagini scientifiche sui procedimenti culinari, ma anche l’esplorazione delle interazioni fra i sensi in sinergia con la sfera emotiva e la memoria. È il 1995 quando finalmente apre il suo Fat Duck in un pub fatiscente di Bray: il menu è classico, ma dietro i gallicismi si celano tecniche scientifiche, cotture a bassa temperatura e patatine supercroccanti dopo innumerevoli step. E la cucina prende il largo.

Fra gli studi che si sono avvicendati in questi anni, l’amplificazione delle bolle d’aria dovuta al sottovuoto (segreto del celeberrimo cioccolato areato), l’incapsulamento del gusto, la frittura a freddo con l’azoto liquido (sulle orme di Agnes B. Marshall, pionieristica Madame Curie della gastronomia), gli studi sinestetici con tanto di cuffiette (vedi l’effetto dell’amplificazione del crunch), la psicologia del gusto, nello scambio fra forme e contenuti. Blumenthal ha fatto della cucina un calderone di discipline che sputa lecca lecca e caramelle incellophanate, perché il negozio di dolciumi è il paradigma degli strati ancestrali della memoria e della gola. Schemi ludico-cognitivi perpetuati al Dinner by Heston Blumenthal a Londra (2 stelle che si aggiungono alle 3 riottenute nel 2016 del Fat Duck, dopo la parentesi australiana), contraltare della terza insegna coordinata da HB: il tradizionalissimo gastropub Hinds Head, eretto a Bray proprio accanto al Fat Duck, un'altra stella arrivata nel novembre del 2012. 

Ha partecipato a

Identità Milano


a cura di

Alessandra Meldolesi

Umbra di Perugia con residenza a Bologna, è giornalista e scrittrice di cucina. Tra i numeri volumi tradotti e curati, spicca "6, autoritratto della Cucina Italiana d’Avanguardia" per Cucina & Vini