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Le stelle sono tre, ma i piedi restano ben piantati per terra, fra i filari di nebbiolo che pettinano le colline delle Langhe. E la testa non fora il manto delle nuvole ma resta china sul pass, nella chirurgia che anima il teatro delle ombre sul piatto. È il momento di Enrico Crippa, inutile negarlo, lui così schivo, riservato, gentile, il pizzetto ottocentesco a tirarci fuori da tempi concitati, la figura volatile come le armonie più imponderabili. Una leggenda agguantata senza strepiti o squilli di fanfara, con la disciplina interiore e l’acribia intransigente di un monaco zen. Chi ha seguito la sua traiettoria, dal paesino brianzolo che gli ha dato i natali al sodalizio plurilaureato con la famiglia Ceretto, lo vede nitido nel vorticare degli stimoli, irrimediabilmente se stesso nella messa a fuoco dello scatto. Il suo stile cangiante, renitente a qualsiasi semplificazione, impermeabile alle mode del momento, dalle scarnificazioni boreali ai primitivismi avanguardisti, al mantra della semplicità e del prodotto, era già presente in nuce nei primi, acerbi passi mossi in via Bonvesin de la Riva, dove prese l’abbrivio per circumnavigare la gastronomia fino a ritrovare il sentimento di casa. Dei tanti insegnamenti di Marchesi, per il quale ha firmato insieme a Lopriore un epocale Menu Oggi a Erbusco, ha selezionato innanzitutto il giapponismo, tema conduttore della nouvelle cuisine. Che dopo le esperienze formative al fianco di Willer, Arabian, Westermann, ha acquistato accenti intimi e risonanze da camera grazie a Michel Bras, maestro assoluto di sensibilità, poesia e natura (qualità che condivide con un altro allievo eccellente, Andoni Luis Aduriz). Per poi confrontarsi con le declinazioni pop e tecnologiche di Ferran Adrià, iperattivo nell’import delle suggestioni nipponiche; nonché con i modelli originali durante 3 anni a Kobe e Osaka. Passato sotto traccia per gli anni ruggenti dell’avanguardia, nel 2003 Enrico Crippa è sbucato sotto il sole di Alba come il fiume Alfeo della mitologia: la sua cucina pura, incentrata sugli incantesimi gustativi di una manualità fatata (la migliore d’Italia a detta di Bob Noto), rappresenta forse la più bella manifestazione del risveglio sensoriale della tavola contemporanea dall’anestesia concettuale anni Zero. Leggi anche Nell'orto di Crippa di Gabriele Zanatta
Nato a Carate Brianza nel 1971, Enrico Crippa ha collezionato mostri sacri nel suo CV, da Gualtiero Marchesi a Michel Bras, fino a Ferran Adrià. Dopo una permanenza triennale in Giappone, nel 2003 con la famiglia Ceretto ha inaugurato Piazza Duomo, ristorante che da fine 2012 vanta le tre stelle Michelin
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Umbra di Perugia con residenza a Bologna, è giornalista e scrittrice di cucina. Tra i numeri volumi tradotti e curati, spicca "6, autoritratto della Cucina Italiana d’Avanguardia" per Cucina & Vini
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Da sinistra, il presentatore Gerry Scotti, che ha condotto brillantemente la serata, Elena Collini, Brand Manager TheFork Italia, Paolo Marchi, curatore e cofondatore di Identità Golose, Francesco Montemurro, chef dell'agriturismo La Pedrosa a Montefiora Conca (Rimini) a cui è stato assegnato il People Choice Award per il Nord Italia, Giuseppe Lo Presti, chef del Caffè Giubbe Rosse a Firenze che si aggiudica il prestigioso premio People Choice Award, e per il Sud Italia e le Isole, premiato il ristorante Joca (Napoli) nella persona dello chef Gianluca D'Agostino, sul palco assieme a Carlo Carollo, Country Manager Italia TheFork, Cinzia Benzi, la nostra donna del vino, e Claudio Ceroni, presidente di MAGENTAbureau e cofondatore di Identità Golose