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Credetemi, è tutta una questione di osmosi. Perché se l’alta cucina tende le mani verso la bistronomia, anche la pizzeria si sta mettendo in punta di piedi, e magari si appoggia pure su una stampella molecolare: non c’è membrana che tenga. Lo si capisce appieno mettendo entrando a Berberè, la pizzeria inaugurata a Castel Maggiore nel 2010 da Matteo Aloe e Beniamino Bilali, rispettivamente cuoco e pizzaiolo, o meglio addetto al topping e specialista dei lieviti. Una fucina di sperimentazioni che ha segnato il rinascimento del più umiliato dei nostri vessilli attraverso la creatività, e anche la scienza. Classe 1985, Beniamino arriva da Durazzo, dove i genitori fornai panificavano all’antica. Gesti e profumi che sono andati in letargo nel subconscio fino a risvegliarsi in Italia, quando per pagarsi gli studi (il diploma di maturità, e poi la facoltà di chimica) ha allacciato il grembiule in qualche ristorante pizzeria della riviera. Più nolente che volente in Albania, appassionatosi a sorpresa con la pala in mano, si è fatto notare da giurie e giornali. Ma gli impasti erano ancora quelli standard, e non saziavano il tarlo della sua insoddisfazione. Finché non è arrivato il deus ex machina: Andrea Muccioli. Una chiacchierata ed eccolo riscoprire i profumi d’infanzia del lievito madre nella pizzeria di San Patrignano, con il corollario di un sapere inconsapevole e l’approfondimento dei prodotti top. Il girovita dei clienti sempre più stretto e la loro platea che si allargava grazie a una nuova leggerezza. È a Castel Maggiore tuttavia che è scoppiata la sua rivoluzione. «Mi sono chiesto: come mai se i fiumi esondano, il grano comincia a germinare? Ed è il segno di proprietà quasi magiche, da pelle d’oca, che i miei studi scientifici mi hanno consentito di padroneggiare. Cosicché riesco a far lievitare la farina senza altri ingredienti che acqua e sale, attraverso un processo di idrolisi e gelatinizzazione che rende le basi più leggere, digeribili, alveolate». E le pizze tornano all’antico paradigma del tagliere medioevale: meri fondi per la composizione. Espressa la base ed espresso il topping per agguantare la fase timbrica di marchesiana memoria.
di
Umbra di Perugia con residenza a Bologna, è giornalista e scrittrice di cucina. Tra i numeri volumi tradotti e curati, spicca "6, autoritratto della Cucina Italiana d’Avanguardia" per Cucina & Vini
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