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Gualtiero Marchesi si è spento il 26 dicembre 2017, all'età di 87 anni. Unanimemente considerato il più grande cuoco italiano di tutti i tempi, Gualtiero Marchesi è anche un fine gastronomo e scrittore. Le sue teorizzazioni, disseminate per piatti, libri e convegni, hanno punteggiato la vita culturale del settore come eccitanti iniezioni di intelligenza: da quando volse le sue padelle verso est, anticipando la voga giapponese degli chef contemporanei, al concetto di “cucina globale” come sincretismo di influenze, fino all’odierno motto “meno cucina”, volto a rintuzzare le tentazioni barocche con un severo richiamo alla centralità del prodotto. Sempre e comunque un passo avanti. Merito forse di una formazione atipica: figlio di agiati ristoratori milanesi, dopo l’alberghiero a Lucerna Marchesi era predestinato ad una pigra dolce vita, quando improvvisamente la campana della vocazione ha risuonato. Aveva 38 anni quando partì per Roanne, diretto al leggendario ristorante dei fratelli Troisgros, fondatori della nouvelle cuisine. «Poi un giorno se n’è andato dicendo: ‘Ho capito, presto vedrete che ho capito’», racconta oggi Pierre Troisgros. E le prove non hanno tardato ad arrivare. Fondato il ristorante milanese nel 1977, in via Bonvesin de la Riva, viene premiato dopo appena un anno con la prima stella Michelin e subito dopo con la seconda. Ma già nel 1985 gli ambiti macarons sono tre, i primi a inalberare il tricolore nazionale. La rivoluzione di Gualtiero Marchesi è innanzitutto estetica: forme naturali in primo piano, come nella celebre seppia al nero; grafismi sensibilissimi (vedi la foglia d’oro sul risotto giallo, perché «il tipico è anche mitico», ha scritto Thomas Mann); food design ante litteram (le consistenze di pasta). Esempi di quella che ha definito una cucina di testa anziché di gola; timbrica anziché tonale (basata cioè sulla separazione dei sapori, il culto della semplicità e la sottrazione); spesso appoggiata sul solido puntello della tradizione giapponese e venata da giochi citazionistici con le altre forme d’arte. La cucina italiana si sveglia di soprassalto dal sonno delle trattorie: sente risuonare le sirene del professionismo e l’avanzata del rinnovamento. Niente sarà più come prima. Nel 1993 Gualtiero Marchesi si trasferisce a Erbusco e in tandem con Vittorio Moretti inaugura L’Albereta, di cui è tuttora alla guida così come del Marchesino a Milano, in piazza Scala. Dal 2004 inoltre è rettore di Alma, l’ambiziosa Scuola Internazionale di Cucina Italiana. Il grande chef infatti è il padre nobile di una nidiata di cuochi d’eccellenza, che hanno preso in mano, ciascuno a modo suo, i fili rossi del suo insegnamento. Per le sue cucine sono fisicamente transitati Enrico Crippa, Paolo Lopriore, Carlo Cracco, Pietro Leemann, Davide Oldani, Andrea Berton e Paola Budel; ma ci sono anche i discepoli spirituali, come Massimo Bottura e Claudio Sadler. Avanguardie, inquietudini e fermenti su cui la sua lezione si riverbera come una stella polare, perché, ama ripetere parafrasando Picasso, «trascino tutto quanto con me e vado avanti. È il movimento della cucina che m’interessa». Leggi anche Addio a Gualtiero Marchesi, ci ha lasciato il Maestro della cucina italiana Marchesi, l'omaggio dei cuochi
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Umbra di Perugia con residenza a Bologna, è giornalista e scrittrice di cucina. Tra i numeri volumi tradotti e curati, spicca "6, autoritratto della Cucina Italiana d’Avanguardia" per Cucina & Vini
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