17-05-2021
Marco Ambrosino, classe 1984 da Procida, dal 2014 chef del 28 Posti di Milano. Qui è ritratto da Marco Varoli
La nostra degustazione, l'altro giorno, del menu tutto nuovo pensato e realizzato da Marco Ambrosino per il milanese 28 Posti (era un pranzo di venerdì, ovviamente open air; il locale in questa fase è aperto da venerdì e sabato, pranzo e cena, in attesa che cambino le disposizioni del Governo) è stato assolutamente straordinario per due motivi principali.
Il primo è per l'eccellenza dei piatti. Profondi, originali, creativi, pensati e dunque intelligenti, assolutamente deliziosi e manifestazione di uno stile personale, consolidato, riconoscibile. Poi perché raccontano concetti di cultura, gastronomica ma non solo, cui lo chef tiene tantissimo (leggi per esempio Riscoperta dell'identità mediterranea: Marco Ambrosino ci racconta perché ha fondato il "Collettivo") e lo fanno meglio di qualsiasi parola. Vale a dire: in un momento in cui si cerca sempre uno storytelling purchessia - e a volte davvero pretestuoso - Ambrosino parla con la sua cucina, esprime idee illuminanti persino senza uscire aprire bocca, basta che stia ai fuochi. Poi, certo, aggiunge anche ulteriori approfondimenti; ma la sua forza è che potrebbe farne a meno, tanto chiaramente sa esprimersi con il suo lavoro quotidiano.
Il 28 Posti con, sotto, il nuovo dehors esterno
Dice: «Vogliamo far capire la necessità di comprendere i limiti della dialettica della "origine", ossia del "dove comincia qualcosa". In realtà non vi è mai un'origine unica, e questo è vero soprattutto nel Mediterraneo, dove la norma invece è quella della totale mescolanza, ci sono ricette tipiche algerine che troviamo sulla tavola friulana. Poi noi aggiungiamo il nostro studio sulle tecniche di cucina: maturazioni, fermentazioni... Che chiamiamo così: ma le olive sono di base dei fermentati, no?».
Ostrica alla brace, salsa di ostrica, scalogno, perle di tapioca, ippocrasso di vino di pasta, olio all'alloro. Le foto dei piatti sono di Tanio Liotta
Marco Ambrosino
Il rombo, dunque. Spettacolare per bontà e concetto. Utilizzato nella sua interezza, la polpa per un piatto, la coda per un altro (eccezionale: Coda di rombo con shiokōji, salsa di asparagi bianchi fermentati e olio al timo limone), e ancora uno per la testa e uno per il collo, e poi dalla pelle si ricava una maionese e le lische arricchiscono di aromi il fondo di cottura della pasta che verrà. «Noi compriamo solo animali che possiamo utilizzare interamente. Non è questo il periodo del pesce azzurro, "povero", che pure privilegiamo. E dunque il rombo, del quale non buttiamo nulla. L'ingegno nasce dalla necessità; e il cuoco contemporaneo sa che la difficoltà dà spinta all'innovazione, nell'approccio all'ingrediente».
Una meraviglia dagli "scarti" del rombo: in alto la Testina di rombo con salsa al limone bruciato; a sinistra il Collo di rombo con maionese di aglio nero e sambuco; a sinistra l'eccezionale Coda di rombo con shiokōji, salsa di asparagi bianchi fermentati e olio al timo limone
La parte nobile del rombo, ossia Rombo bernese di mare, salsa di ricci di mare e datteri, verdure fermentate. Il pesce è cotto a bassa temperatura (45°), la bernese di mare è realizzata con la pelle del rombo, ne sfrutta il collagene
S'accompagna con deliziosi Gnocchetti di pane raffermo, salsa di orzo e tabacco fermentato, piselli. Gli gnocchetti sono realizzati con un pane vecchio inoculato di funghi per una maturazione controllata. Dice lo chef: «Siamo partiti da un libro bellissimo, Pietre di pane, di Vito Teti, che racconta i vecchi pani contadini, disastrosi, ottenuti dalle farine di sussistenza, dalla segatura, dai legumi secchi... E spesso consumati ormai ammuffiti, appunto. Abbiamo pensato di lavorarci sopra, e abbiamo scoperto che prendono note aromatiche particolari, di salumi ad esempio», noi abbiamo riconosciuto la nota rancida del grasso di un grande jamón ibérico
E veniamo all'agnello, una specie di summa del pensiero dello chef, che premette: «Questo animale è sempre nel nostro menu come portata di chiusura della parte salata, mi è caro perché ha un valore molto legato alle culture del Mediterraneo», e infatti lui lo declina in più preparazioni, che richiamano la koiné del Mare Nostrum «e il valore del convivio, della condivisione, dell'attingere collettivamente da piatti di portata, com'è tradizione antica di queste terre. Ci piace ricreare la gestualità delle braccia che si incrociano a tavola». Ci sono spezie, legumi, in questo caso anche la scelta di proporre un gatah armeno... E l'agnello proposto nella sua interezza, o quasi: pancia a ritagli per il gatah, spalla e coscia alla brace, il grasso spennella le cicorie amare allo spiedo, ciò che rimane attaccato alle ossa va a comporre una specie di garum «nato per errore. Stavamo preparando una fermentazione, abbiamo innalzato troppo la temperatura, il risultato è stato questa "pasta di agnello fermentato", scura, che assomigliava come consistenza a una cipolla caramellata e regalava note di liquirizia, di latte condensato. Assaggiata da sola sembra quasi la crosta di una lasagna», Ambrosino ne ricava una "bagna cauda" con la crema di fave.
Agnello in tre declinazioni (o quattrro). La prima: Agnello alla brace, salsa di lievito di birra, mela cotogna in conserva
Gatah di ritagli di agnello. Il gatah è un pane dolce tradizionale armeno, in questo caso declinato nel mondo salato
Bagna cauda di fave, garum di agnello fermentato e olio di paprika
Spiedo di cicorie amare e grasso di agnello
E ora il "resto" del nostro pranzo, oltre ai piatti che vi abbiamo già citato. Le foto dei quali (ossia: di tutti i piatti) sono di Tanio Liotta. Ah: l'Insalata di cavolo, crema di piselli alla brace, crema di tartufo nero, noce moscata e olio d'argan è magistrale.
Macaron con burro di acciuga
Sedano rapa marinato, polvere di cavolo nero
Indivia, maionese al miso, cipolla rossa caramellata
Minestra di frutta e verdura con estratto di carota fermentata e olio di sesamo
Straordinaria questa Insalata di cavolo, crema di piselli alla brace, crema di tartufo nero, noce moscata e olio d'argan. Un bellissimo equilibrio tra note terragne, abbrustolite e vegetali
Dopo gli "scarti" del rombo e prima della sua carne, ecco le Trottole di Gragnano, fondo di aringa affumicata, ricotta di mandorle e asparagi alla brace
Dopo l'agnello, a chiudere la parte salata sono questi Spaghettini con acqua di pasta fermentata e polvere di miso di cicerchia
Sorbetto di shiso con sale e olio all'alloro
Pane ai cereali: ovulato con muscovado, spuma di pane raffermo, gelato di Tumminia fermentata e crumble di pane. L'ovulato è una lamina di farina di cereali e acqua, by Ferran Adrià
"Baklava", ricotta di mandorle, dragoncello, aceto di rose, sorbetto miele fermentato
Il giardino mediterraneo: cialde di farina di carruba, crema di carruba, sorbetto di chiodi di garofano, crema di Marsala, sommaco. Buonissimo
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di
classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera
Agnello come un lahmacun, il piatto di Marco Ambrosino gustato (anche) a Identità Golose Milano. Ha dietro tutta una storia, che vi raccontiamo
Il Collettivo Gastronomico Testaccio, presso la Città dell’Altra Economia (ex Mattatoio di Testaccio), largo Dino Frisullo 1, Roma