C’è un’idea di fondo, nella scelta di Massimo Bottura di firmare la nuova Gucci Osteria a Firenze. E va oltre l’aspetto puramente gastronomico. Lo chef modenese è di fatto erede di uno sforzo il cui iniziatore è stato Gualtiero Marchesi: quello di elevare la nostra cucina, nobilitarla, farla ascendere a espressione culturale tout court. L’Italia è il luogo più indicato: perché ha un patrimonio artistico infinito e unico, nonché una tradizione culinaria a sua volte immensa anche se a lungo negletta, considerata non illustre, semmai pop, come si direbbe oggi.
La trattoria nostrana contrapposta al concetto di haute cuisine francese, insomma; grandeur da una parte, tovaglie a quadretti e fiaschetta dall’altra: un pregiudizio che ci accompagna ancora spesso, in particolare all’estero (quanti hotel di brand internazionali offrono un modello che prevede ristoranti interni di alta cucina rigorosamente transalpina, e poi seconde insegne “all’italiana” più semplici?), anche se in questi ultimi anni si sono fatti passi da gigante.

Bottura alla Gucci Osteria
Per
Bottura invece il
Buono italico deve ascendere alla stessa altezza del
Bello. Per riuscirci, occorre che questi due elementi dialoghino tra loro, interagiscano, si fondano in un tutt’uno: com’è, appunto alla
Gucci Osteria. Qui la cucina di
Bottura sposa la grande maison fiorentina della moda, in un locale stupendo che s’affaccia su una delle piazze architettonicamente più splendenti del mondo e in una città che è stata la culla del nostro Rinascimento artistico. L’iniziativa giusta, nel posto giusto, al momento giusto.
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Bottura afferra il toro per le corna, in base a quanto stiamo argomentando. Perché la nuova insegna fiorentina non è concepita come un ristorante di
fine dining, che sarebbe comunque un secondo indirizzo. Allo chef non basta scalare l’Everest, ma sceglie di farlo arrampicandosi lungo la parete più impervia: così, in questo parallelo tra cucina e arte, gioca la carta dell’osteria. E’ come se dicesse: la nostra eccellenza è così forte da consentirci di proporre, in un luogo così straordinario, non un
ristorantone, ma un concetto aggiornato di trattoria; perché è sufficiente quella, per validare il parallelo con l’arte. La grandezza italiana (anche culinaria. E quindi del prodotto peculiare della tavola tricolore, la trattoria appunto) è tale da non aver bisogno di copiare altri modelli di ristorazione. Ci bastiamo.
Parallelamente la maison
Gucci ha intrapreso nel 2015, affidando la direzione creativa al romano
Alessandro Michele, un profondo cambiamento della propria immagine, in un processo di ricostruzione stilistica che ha rotto ogni stanca continuità col passato. Così la
Gucci Osteria è immersa in un brodo di
rinascimentalità – nella struttura, negli arredi, fin nei minimi particolari – resa però contemporanea, in un connubio felice di riproposizione aggiornata del pregresso luminoso, che traspare dai colori pastello, dalle finiture dorate, dal pavimento ligneo dipinto a mano…

Taka bun: panino al vapore, pancia di maiale, salsa di miso, coriandolo marinato, aceto allo yuzu e lamponi, salsa piccante e mela verde. E' un omaggio a Takahiko Kondo, sous chef di Bottura alla Francescana e marito della chef della Gucci Osteria, Karime Lopez (foto Bianca Tecchiati)
Conseguente e ovvio, dunque, è che
Bottura concepisca una versione moderna dell’osteria all’italiana. Prescinde dalla pura toscanità, non si focalizza su ribollite e pappe al pomodoro. Abbraccia anzi l’intera tradizione nostrana (
Tortellini in crema di Parmigiano Reggiano, Carciofo alla giudia), gioca semmai a contaminarla, come ama fare (
Caesar Salad in Emilia, Hot dog di chianina, Napoli e Marsiglia non sono poi così lontane, ossia bouillabasse e pasta mista,
Tiramisu roll cake) perché lui ha spirito cosmopolita di suo, e inoltre maneggia strumenti – la cucina, l’arte – che di per sé non richiamano alcuna frontiera.

Appetizer: Pomodoro, pane e crema di Parmigiano. Le foto dei piatti sono di Tanio Liotta

Tostada di palamita: palamita marinata con olio, lime e scalogno, tostada di mais, maionese di chipotle, ravanello, karkadé e guacamole

Caesar Salad in Emilia: lattuga, chips di Parmigiano, pane all'aglio, salse di aceto balsamico&maionese, acciughe&capperi, Caesar dressing
Spazia senza porsi limiti:
Tostada di palamita, che guarda al Messico;
Sgombro con salsa ponzu, che richiama il Giappone;
Melanzane Thai piccanti; Amarena cheesecake.

Tortellini in crema di Parmigiano Reggiano 36 mesi
In tutto questo, diventa naturale che a sovrintendere i fornelli, in vece di
Massimo, ci sia
Karime Lopez, messicana, classe 1982, già al
Central di Lima in Perù con
Virgilio Martinez, nonché moglie del giapponese
Takahiko Kondo, sous chef dell'
Osteria Francescana: insomma, una ragazza senza frontiere che per curriculum, scelte di vita e successiva formazione modenese rappresenta alla perfezione l’idea di un’Italia forte delle proprie radici, ma aperta all’esterno (è il mondo che celebra l’Italia gastronomica, non l’Italia a cercare stampelle nel mondo). Figlia in altre parole della sua solita capacità di assorbire e abbellire, di apprendere dal fuori e riproporre in forme migliorate, raffinate, originali. Non è la storia (anche) della nostra cucina?

Lingua con salsa verde e lattuga grigliata. La lingua è cotta 36 ore, poi topinambur, riduzione di tuorlo d'uovo, salsa verde e verza, «preparata come faceva la mamma di Bottura»

Amarena cheesecake, ossia una cheesecake scomposta: semifreddo di amarena, crema di formaggio, crumble di grano saraceno

Charlie Marley, dolce preparato per il secondogenito di Bottura: cioccolato, nocciole, mascarpone
Con questi giusti presupposti – e in un ambiente come detto splendido, si pasteggia in una specie di gioiello, circondati da arte e bellezza – risulta facile rendere la pura proposta gastronomica più che convincente. Nel nostro pranzo, eccezionale la
Tostada di palamita (palamita marinata con tortilla messicana), goduriosi i tortellini, eccellente la
Lingua con salsa verde e lattuga grigliata, il
Taka Bun una chicca… Tutti sono ottimi piatti. Non è grande cucina, quella la trovate a Modena: ma è una cucina diventata grande.