Il solito, scontato ristorante del Sol levante? Per niente: uno dei pochi che oltre al cibo può offrire un'esperienza quasi spirituale. Lo chef autodidatta Junya Yamasaki infatti, nato in Giappone e trapiantato a Londra dove s'è fatto notare col noodle bar Koya, prima di spostarsi a L.A. è tornato in patria vivendo diversi mesi in un monastero buddista: non a pregare, ma per cogliere la vera essenza della cucina devozionale Zen, quella appunto dei monaci fatta di semplicità, naturalezza, stagionalità, Km.0 e rispetto assoluto per il cibo.
Gli stessi elementi che ritroviamo oggi in questo elegante locale downtown che occupa gli ampi spazi di un'ex banca. Qui, nella cucina aperta che fronteggia il bancone dei commensali, Yamasaki e i suoi assistenti, tutti con bianche tuniche monacali, compongono un menu minimale dove s'incrociano Sgombro alla griglia con crusca di riso fermentata in dashi e Pancetta di maiale alla brace con birra e miele, polpa di granchio e caviale, come pure il signature dish "SushiChirashi del monaco": una ricca insalata di pesce crudo, erbe, verdure, frutta fresca e secca servita su letto di riso. Umami e gastromeditazione assicurati.
curioso e instancabile cittadino del mondo, come critico/giornalista prima di musica e poi di enogastronomia (La Stampa, Panorama, L'Espresso, Guida ai Ristoranti L'Espresso). Si diverte ad abbinare il giusto sound a vini, piatti, cantine, spa, hotel, nei panni di music designer e sound sommelier (psmusicdesign.it).
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curioso e instancabile cittadino del mondo, come critico/giornalista prima di musica e poi di enogastronomia (La Stampa, Panorama, L'Espresso, Guida ai Ristoranti L'Espresso). Si diverte ad abbinare il giusto sound a vini, piatti, cantine, spa, hotel, nei panni di music designer e sound sommelier (psmusicdesign.it).