Insomma ci sono questi quattro metri quadri, nel cuore del centro storico di questo paese di contadini ostinati e combattenti, in fondo al fondo di un cunicolo di vie strette di chianche e muri bianchi. Ci sono questi quattro metri quadri nascosti anche a chi ci abita attorno, nell’angolo di uno slargo, in un’apertura infissa in una fessura nascosta ai più.
Ci sono questi quattro metri quadri di fuochi e braci e mestoli e coltelli, e al centro c’è questo metroenovanta che culmina con una testa fulva di barba ispida per dispetto e spazzola irochese. Un fiammifero insomma, che s’appiccia ogni sera e quei quattrometriquadri diventano una sarabanda spagnola che in trequarti vivaci e sfrenati taglia, frolla, scotta, lessa, abbrucia, unge, affumica, tuberi e verdure come se non ci fosse un domani.
Carni d’intorno e mare dappresso, verzure di campi camminati, unzioni di terre bramate e lontane, fondi d’oriente. La cucina di Francesco Leone si sarebbe chiamata fusion vent’anni e più addietro; adesso in un mondo che per quando ci ostiniamo a ricacciare indietro è ormai nel destino di ognuno, è una cucina contemporanea di particolare intensità ed equilibrio, di ricerca e di pancia. La ventresca di tonno frollata una settimana in dashi allo zafferano di Montescaglioso e barba affumicata di barbabietola e la Podolica frollata 90 giorni vestita unicamente della sua demiglace, raccontano di un rapporto con la materia prima intimo. Il resto del menu dice che nei dodici metri quadri che circondano i quattrometriquadri oggi si mangia ad una gran tavola, di più grande destino.
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Tavoli all’aperto
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si occupa da trent’anni di terzo settore. Espia i suoi peccati raccontando di donne, uomini e del loro lavoro. In cucina in particolar modo, perché far da mangiare è atto d’amore o non è. Nasce italiano e meridionale, nel secolo breve. Ma è pura fortuna, non merito. Ha una moglie paziente e tre figli spettacolari, perché è fortunatissimo