Sono tanti i riconoscimenti assegnati all'Arpège da quando ha aperto nel 1986: dall'aver dato un nuovo valore all'utilizzo delle verdure nella cucina stellata fino a esser stato un ristorante generazionale, da cui sono usciti i più grandi cuochi francese e non solo degli ultimi 2/3 decenni.
C'è però un dettaglio, del genio di Alain Passard, che lascerà una traccia indelebile sull'evoluzione della cucina otaliana. Qualcosa di cui dovremmo parlare più spesso, per quanto paia assurdo vista l'impostazione classica francese del ristorante di rue de Varenne, perché l'audacia con cui Passard compone i suoi piatti di verdure e di crudità lascia basiti per la sua semplicità. Perché quando un pomodoro, tagliato sottilissimo, viene trattato come la sfoglia di un raviolo in cui chiudere un concassé di fragole, l'omaggio al raviolo aperto Gualtiero Marchesi non è esplicito, ma probabilmente un po' malizia Passard ce l'ha messa.
Se le 5 stagionature del Parmigiano di Massimo Bottura sono un'ode al prodotto, unico ingrediente del piatto, altrettanto si potrebbe dire per il Carciofo con baba ganoush e fichi dell'Arpège, dove il Parmigiano entra a dare "tempo", calibrando i sapori dolci, amari e affumicati delle verdure e diventando protagonista della ricetta. Passard diventa così uno dei grandi maestri della cucina italiana contemporanea: per la voglia di esaltare la semplicità dei prodotti, come il migliore degli Aimo Moroni, e per il modo in cui li tratta, con un'istinto simile a quello di Fulvio Pierangelini. Ed ecco compiuto il paradosso Arpège, il più italiano dei 3 stelle francesi.
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articolo a cura degli autori Identità Golose