Siamo nelle campagne aperte del Piacentino fra la via Emilia e il West, questa storia si svolge in una vecchia cascina dove dimora il ristorante che da quella prende il nome: Belrespiro. È la casa ristorante di due beat guys, sbalzati da un fumetto anni Settanta. Lei ex segretaria d’azienda. Lui, coppola calata in fronte, ex meccanico che a un certo punto ci ha dato un taglio con una vita che proprio non era la sua.
La metamorfosi della segretaria e del meccanico ha avuto esiti stupefacenti. Chiara si muove nel suo alveare come un’ape regina. L’alveo di Fabio è la bocca del forno, il suo elemento il fuoco. La strada, quella delle cotture elementari, primitive: performance da asador navigato che accendono i grandi arrosti di carne, i batarò cotti al momento con selezioni norcine da sdilinquire e formaggi extrastrong. Non mancano le incursioni di elementi e cotture appresi curiosando nelle cucine del mondo, vedi gli Asparagi piacentini marinati nella salsa teriyaki, la pavlova in versione emiliana, le meringhe che lievitano come facevano quelle di mamma Francesca. La torta di rose, un bouquet di bellezza cornuta e artigiana.
E ancora, gli arancini maestosi. Gli anolini in brodo o in versione Pasticcio cotto (sempre nel forno a legna) con ragù di cuori, fegati e magoncini di pollo, besciamella e pasta brisee. E poi i polli ruspanti. La senape fatta in casa. La meccanica di una cucina che fila come una Lamborghini ma senza carrozzeria ruffiana, che riesce bella senza darsi il belletto, allegra senza strafare. Calda del fuoco che sa di focolare.
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Tavoli all'aperto
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articolo a cura degli autori Identità Golose