Lungi dall'essere iperbolici, è possibile dire con cognizione di causa che quello di Ciccio Sultano è un trionfo. Innanzitutto un trionfo della sua Sicilia, della commistione delle sue invasioni perfettamente integrate, di quell'orgoglio posato e signorile che prende forma e spazio dal barocco opulento, non sfarzoso, fino ai volteggi nella sala da ballo del Gattopardo.
Non si può realmente parlare di passato e presente, di sontuosità e decadenza: al Duomo di Ragusa Ibla tutto è inscritto nel continuum di una sola, unica espressione culturale, resa possibile nella struttura dei menù degustazione, così come nella soluzione di continuità tra la via che costeggia il Duomo di San Giorgio con gli interni dal taglio più contemporaneo, ma totalmente in linea con quel modo posato di accogliere gli ospiti e intrattenerli fino alla piccola pasticceria.
Una forza suggestiva così complessa, articolata diventa comprensibile e masticabile grazie a quella che lo stesso Sultano definisce la sua "mente pratica", una mente consapevole del suo ruolo in cucina così come sul territorio, per cui il cuoco è in primis un trasformatore - di ingredienti e ricette, così come di luoghi, saperi e persone. Il tutto, filtrato dallo sguardo tra il compiaciuto e un bonario sardonico con cui lo chef scruta di sottecchi gli ospiti in sala.
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convinta che si possano cavare storie anche dalle rape, lavora su strategie di comunicazione e sulla redazione di contenuti per Slow Food Editore, riviste e aziende del mondo gastronomico