Trascorrere due ore al cospetto di un vero - saggio, schivo, millimetrico - maestro dell’antica arte del sushi, ascoltare i suoi racconti sui grandi pesci del Pacifico, restare in silenzio a osservare il rito, è un’esperienza che richiama in superficie la profondità del nostro sacro rapporto con la natura e col cibo. Per questo chiunque arrivi in Giappone benintenzionato a lasciarsi alle spalle le bulimie occidentali di riso e pesce crudo e ad accostarsi piuttosto ad un’esperienza autentica, radicata in questa sacra cultura, dovrebbe fare tappa da Ootanino.
Ben occultata dietro un portone oscuro, invisibile a qualunque viaggiatore distratto, segnalata - solo all’attenzione di chi sa dove andare - appena da una piccola candela sull’uscio, la minuscola stanza da dieci posti in cui consiste il suo ristorante si trasformerà, appena prenderete posto, nell’immenso regno di Takayuki Otani, un universo oceanico di pesci giganti - per lo più ancora vivi - pronti a tuffarsi nella sublime danza coi suoi lunghi coltelli. Qui più che altrove scoprirete che il vero sushi non è una faccenda per anime fragili e che solo nella rigorosa disciplina che verrà imposta anche a voi, vi si dispiegherà il segreto per attraversarla tutta e imprimervi per sempre nella mente queste quasi tre ore di viaggio nel tempo e nel gusto.
Non aspettatevi alcuna altra formalità, né di accoglienza né di servizio: state al gioco di questo cuoco grandioso e, quando lo avrete rassicurato che il vostro stomaco sa fare sul serio, troverete nella gentilezza timida del suo sorriso l’unica essenza della sua ospitalità.
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modicana, giornalista, sommelier. Attraversa ogni giorno le strade del “continente Sicilia” alla ricerca di storie legate alla cultura del cibo e del vino. Perché ogni contadino merita un romanzo