Bisogna proprio arrivare fin quassù, nel piccolo regno in legno e pietra della famiglia Mazzaroni, in mezzo alle montagne ora dolci ora più aspre ma sicuramente accoglienti, caratteri che ritroviamo nella gente che vive in questa parte dell’Appennino centrale. Nel pensiero e nelle esperienze di Enrico, chef gentile e geniale, l’identità agropastorale si aggiunge a quella marinara, perché insieme evocano partenze e ritorni, lontananze e mancanze.
Così all’inizio mancherà il pane, che arriva caldo nella pentola di rame, affumicato all’alloro insieme a kefir e burro appena fatto, per inserirsi nel percorso avviato con la Pancia di maiale, spuma di porchetta, polvere di carcadè e mela rosa dei Sibillini in agrodolce, con il Cervello di agnello fritto, la sua maionese, gamberi e cialda e polvere di rapa rossa fermentata, e con il Paté di fegato di agnello, tartare ostrica e verbena.
Nel menu Transumanza, a nostro avviso uno dei più interessanti dell’anno, il limite si sposta più avanti, la sorpresa si fa più intrigante, la scoperta più consapevole: tra lo Spaghetto impastato con caffè d’orzo, orecchie di maiale e polvere di paprika, la Seppia alla brace con biscotto di fegato di seppia, testina di agnello e misticanza, e la sfida vegetale tra la Castagna à la royale e il (finto) Piccione con foie gras, che altri non sono che sedano rapa marinato ai frutti rossi e cipolla. La sala è nelle mani Gian Luigi Silvestri, cugino di Enrico, capace di un passo indietro e di due in avanti, anche per accompagnare il cliente fuori dal locale a bere fresca acqua dalla fonte.
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Tavoli all’aperto
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esperto di comunicazione, giornalista e sommelier, da trent'anni racconta ristoranti, produttori e territori. È fondatore e curatore del congresso di cucina regionale MeetInCucina e del sito vinirosa.it