Un palazzo storico del XII secolo fa da cornice a un piccolo ed elegante ristorante arredato in modo minimal, giocato su toni scuri e impreziosito da luci soffuse. Qui il giovane chef Michele Minchillo propone la sua personale idea di cucina che si basa su alcuni “comandamenti” dichiarati all’inizio del menu: «Il cibo come valore primario; mai distruggerlo e sempre rispettarlo poiché è vita. La qualità, la filiera produttore-consumatore come filosofia, quella ci appartiene. Il territorio che ci circonda, rispettando l’ambiente ed il normale processo della natura. Mai abusare di quest’ultima, solo godere di essa».
È dunque una cucina che spazia tra terra e mare senza particolari legami col territorio (unica concessione la presenza di un paio di ingredienti tipicamente cremaschi, come il Salva e la mostarda di zucca, inseriti con successo su sapori di matrice campana nei Ravioli - Ragù alla Genovese - Salva Cremasco Dop - Mostarda di zucca) e con una certa originalità che si riscontra appieno nell’intrigante Zuppetta di vongole, cernia, cipolla rossa, quinoa soffiata e nella Faraona, foie Gras, uva e aceto balsamico. Da provare anche la Cacio e pepe, gamberi e lime.
La carta delle proposte è sensatamente contenuta. La affiancano due percorsi: Vitium di 5 portate pescate tra i classici della casa e In-contro di 7 piatti dove lo chef si muove con maggior libertà. In sala il servizio scorre fluido grazie a Jacopo Vico che si occupa anche della cantina, all’altezza del menu, dove non mancano i vini biologici, biodinamici e naturali.
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Tavoli all’aperto
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articolo a cura degli autori Identità Golose