La contemporaneità a tavola si consuma spesso in ambienti pregni della magnificenza del passato. Quanto più la contemporaneità ne è conscia, oltre che degna, tanto più felice è l'esito dell'interazione tra palato e memoria.
Così accade nella bassa bresciana, dove la cucina del conte Giulio Tartarino Caprioli appare più che mai rediviva nella mano di Simone Breda ed Eliana Genini. I titolo nobiliari, almeno sulla carta tratteggiata del curriculum, Breda li ha acquisiti dapprima alla corte di Gualtiero Marchesi all'Albereta e, quindi, a Senigallia dove ha lungamente coadiuvato, nell'interpretazione del mare, Moreno Cedroni. Qui, in questo luogo ancora prettamente legato al suo passato medievale, Breda ordisce una cucina nobile e antica fatta a immagine e a somiglianza del luogo che la ospita. Il tutto, veicolato con erudizione attraverso l'ausilio e l'amministrazione di alcuni leitmotiv, come l'acidità, sempre costante e puntuale.
Nell'anguilla, la croccantezza della pelle istiga un morso che affonda in una polpa fondente e in un sapore riacutizzato dalle sferzate dell'amaro della cicoria unite a quelle, acide, del limone. Un micro-mosaico minuto dove riecheggiano anche eco cinquecentesche nella presenza di un agrodolce ben calibrato, come quello che combina, egregiamente, la clementina al peperone e gli anacardi a condimento della lingua. La mano è leggera anche su elementi meno modaioli come le creste di gallo, che agghinda e imbelletta nei ravioli, nonché in una pasticceria che conosce i segreti della combinazione tra dolce e salato.
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folli amanti dell’alta cucina, in totale sono una ventina, sempre alla ricerca di emozioni. La causa? Un’irresistibile Passione Gourmet