Idromele, caviale di lumaca madonita, erbe spontanee dell’Etna, frutti di mare e pescato di giornata. C’è questo e molto altro nei piatti che, nei 14 anni dall’apertura de La Capinera, hanno permesso a Pietro D’Agostino di ritagliarsi uno spazio importante nella cucina italiana. Basterebbe solo il crudo di mare alla maniera di Pietro, ovvero con sale di Mozia, salsa di arance e scorzette candite a giustificare il viaggio fino alla terrazza sul mare nella quale lo chef ha fissato domicilio rendendolo un paradiso per i gourmet.
Questo non gli ha impedito di continuare a crescere sintonizzandosi perfettamente con gli insegnamenti di Nonna Vincenzina per la quale erano due i comandamenti inderogabili in fatto di cibo: genuinità e semplicità. A La Capinera la semplicità sta nella cura dell’essenzialità dell’allestimento con tavoli realizzati da un unico tronco di rovere trovato a Castiglione di Sicilia non trattato chimicamente e piatti fatti a mano su misura con polvere di lava, di marmo o in pietra lavica di Peppino Lopez, i materiali che impattano non poco durante la degustazione delle pietanze.
Il cibo rimane, però, il piano più importante per lo chef che coltiva da sempre il lusso della semplicità. Nella pratica quotidiana si traduce nella minima trasformazione di ingredienti rigorosamente stagionali tanto che la carta de La Capinera non cambia ogni trimestre, ma ogni volta che D’Agostino lo ritiene necessario per non snaturare la materia prima e la sua cucina fatta di rigore, estro, creatività e tecnica apprese in giro per il mondo prima del suo ritorno a casa.
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Tavoli all'aperto
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giornalista catanese a Milano, classe 1966. «Vado in giro, incontro gente e racconto storie su Volevofareilgiornalista» e per una quantità di altre testate