Tra la nouvelle vague del Perù, la cucina neo-scandinava o le ammiccanti traiettorie dell’Asia, ci dimentichiamo spesso del bacino su cui stiamo seduti. “Mediterraneo” è un concetto associato unicamente al modello su cui indagò con successo il nutrizionista americano Ancel Keys. Ma è tempo di riscrivere le coordinate, su nuovi presupposti genetici e geografici. E' il pensiero che sorregge il Collettivo Mediterraneo: l’ha fondato Marco Ambrosino ed è uno dei progetti che più ha rapito le nostre attenzioni nei giorni di clausura della pandemia. Si dà l’obiettivo di «Costruire una memoria del Mediterraneo, delle sue tradizioni, dei popoli che lo compongono, delle storie che lo attraversano».
Per capire quanto la nuova retorica mediterranea potrebbe dar voce felice alle nostre tavole, è sufficiente prendere uno dei 28 Posti di questo piccolo gioiello sui Navigli, tra le insegne più originali del panorama italiano. In un setting architettonico in cui ogni francobollo è legato ai concetti di «autenticità, materia, semplicità e origine», l'ancor giovane procidano srotola la sua dialettica “politica”: Tajine di rape e mele in conserva, tartufo nero, noce moscata e olio di argan o un favoloso Agnello al fieno con conserva di mela cotogna, lime libanese. Ingredienti anche berberi, tecniche mediorientali, materie prima strappate all’oblio di genti che i governanti hanno diviso nei secoli.
Ascoltate queste storie silenziose, attraverso le voci del preparatissimo personale di sala (e magari capita che in sottofondo suonino gli Atoms for Piece).
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La Chiajozza di Ambrosino
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laurea in Filosofia, coordina i contenuti della Guida ai Ristoranti di Identità Golose dalla prima edizione (2007), collabora con varie testate e tiene lezioni di gastronomia presso scuole e università. Nel 2020 ha scritto con Cesare Battisti "Cucina Milanese Contemporanea" (Guido Tommasi editore)
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