Nel 2020 i ragazzi di Trippa festeggeranno il quinto compleanno. Aprirono nel giugno 2015, agli inizi del semestre di Expo. C’è un’insegna di cui si è parlato di più nel quinquennio del rinascimento milanese? Forse no e gli oooh di ammirazione per la cucina di Diego Rossi hanno scavalcato ampiamente i confini: potendo, Alex Atala, David Muñoz, Paul Pairet, Enrique Olvera lo rapirebbero, un indizio che spiega che l'approccio del cuoco funzionerebbe un po' ovunque.
In un’epoca in cui tutti «ambiscono alla stella» senza magari sapere bene cosa significhi, questo ragazzo ha vinto perché ha scelto il percorso inverso: basta con le moine al pass, con le brigate del terrore, con gli impiatti che paiono quadri perfetti di cappesante, astici e foie gras. Sì invece alla trattoria e alle bestie intere della tradizione contadina italiana, una miniera di risorse e di piatti che il ragazzo perlustra fino al fondo. Vi troverà - spiega bene il suo libro Finché c'è Trippa - cervello, cotiche, piedini, codini, orecchie, omenti, sangue, rognoni del maiale, una bestia di cui giustamente non si butta via niente. Ma pure cuori, milze, testine, lingue e nervetti di un bue. E fegatini, creste, cuoricini, testicoli, bargigli uova embrionali di polli e galline.
La verità è che Rossi è un cuoco dotato di una grande profondità «agreste», ha detto bene di lui Riccardo Camanini. Un ragazzo il cui insegnamento finirebbe inascoltato se non fosse accompagnato dal calore in sala di Pietro, Gianni e Vince. Se Trippa è diventato imprenotabile - senza la grancassa della 50Best - il merito è di tutti e di ognuno.
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Tavoli all'aperto
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classe 1973, laurea in Filosofia, giornalista freelance, coordina i contenuti della Guida ai Ristoranti di Identità Golose dalla prima edizione (2007), collabora con varie testate e tiene lezioni di gastronomia presso diverse scuole e università.
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