Sono tante le leve che dovrebbero spingere il lettore ad arrampicarsi fino all’Argine. Il luogo, innanzitutto, un casolare sepolto nel verde, a una manciata di passi da Brda, il primo comune oltre il confine sloveno. Poi, una sala cozy che garantisce un continuum con la quiete dell’esterno.
Non sono ritmi docili quelli che invece spiamo oltre la vetrata della cucina a vista: in 3 ore di cena, Antonia Klugmann non solo non si è mai mossa dalla sua postazione, ma non c’è stato un solo momento in cui siamo riusciti a incrociare il suo sguardo, sempre chino a comporre un piatto. Per l’esattezza, a fine cena saranno circa 200 e tutto questo in due ore e mezza di media, per soddisfare 15/20 coperti. È una statistica che la dice lunga sul desiderio della cuoca di “ristorare”, nel senso più profondo del terminare, cioè restituire dignità all’ospite, badandogli in prima persona: «Non esiste», ci spiega perentoria, «che qualcuno viene qui e non mi trova». Piuttosto fa il servizio col 40 di febbre (è già successo, e sotto la parannanza ha infilato del ghiaccio per abbassare la temperatura).
La cosa più bella è che quest'impegno è la premessa di una cucina che è la preview di quello che mangeremo tra 20 anni: prevalenza di erbe e verdure (ma non è un dogma), sensibilità no waste e una grazia senza pari. Due piatti? Semi di girasole, amaranto, quinoa, sesamo, papavero e Ravioli di guancia brasata, rosa di Gorizia, salsa di vino e cioccolato. Ma non contateci troppo perché Klugmann asseconda religiosamente le stagioni: quel che trovi una settimana, quella dopo non c’è più.
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classe 1973, laurea in Filosofia, giornalista freelance, coordina i contenuti della Guida ai Ristoranti di Identità Golose dalla prima edizione (2007), collabora con varie testate e tiene lezioni di gastronomia presso diverse scuole e università.
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