Quique Dacosta aveva già ampiamente dimostrato, in oltre 30 anni di carriera, la sua attitudine a essere un outsider, perfino all’interno dei confini dell’avanguardia spagnola. È solo da poco, però, che si è avventurato fino alle Fronteras: i confini della sua cucina, ma anche - e soprattutto - gli orizzonti mentali dei suoi ospiti.
Il menu che abbiamo assaggiato è, a detta dello stesso chef, «il più emozionante e istintuale» che abbia mai creato, la creazione di un nuovo codice espressivo - e non, come il nome potrebbe indurre a pensare, una ‘semplice’ mescolanza transculinaria. Fronteras viene scandito in 6 atti e 27 portate, durante i quali il territorio si fa complice ma mai protagonista asfittico, con quel ‘rapporto aperto’ che Quique è sempre riuscito a instaurare con Dénia e la regione di Alicante. Compaiono il gambero rosso - amato/odiato ingrediente feticcio - il Riso Gleva D.O. e l’anguilla dell'Albufera - arrostita con la sua pelle e servita con una maionese allo zenzero, in quello che è il piatto più sensualmente appagante - ma sono solo tappe di un percorso che è sì memoria gastronomica, senza mai ridursi unicamente a quella.
L’impeccabile orologeria della sala vi accompagna per mano mentre le idee di Quique si materializzano sulla tavola, cesellate con una precisione architettonica che si intravede a malapena, dietro alla scioltezza di un discorso gastronomico che scorre fluido ed emozionante, su quella linea immaginaria di confine tra reale e ideale, immaginario e immaginifico, lungo la quale azzardano solo gli avventurieri.
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articolo a cura degli autori Identità Golose