Siamo in via Stalingrado, civico 150, ovvero parecchio oltre il perimetro lungo 53 chilometri di portici (dentro e fuori porta) consacrati dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Oltre la soglia del ristorante d’antan stanno in agguato lasagne monumentali, strati d’amore matriarcale a sedimenti. Tagliatelle che si stagliano vertiginosamente in verticale avvoltolate cuore a cuore col ragù. Cotolette di proporzioni jurassiche. Tortellini in un brodo talmente sapido, talmente cristallino eppure di una sua densità lieve, e talmente saporito da superare con un’alzata di spalle la tentazione di calarci dentro quella spolverata di parmigiano che fa tanto italiano a tavola.
Non sorprendetevi se a un certo punto vi coglierà una sensazione di straniamento. Se accoccolati fra le braccia della mamma o fra le grinfie del lupo che vi ha appena scoperchiato casa in un soffio mentre voi avete raggiunto le proporzioni di tre porcellini in uno. Se vi trovate in una delle capitali della provincia italiana o in un film di Almodovar dai colori accesi, la trama improbabile, la commozione in agguato, le risate arcobaleno. Se avete viaggiato nel tempo precipitando in una Bologna che credevate perduta, o nel tempo presente dove un marchigiano di San Benedetto del Tronto e un bolognese cuoco di sesta generazione, hanno consentito a Bologna di ritrovare se stessa. Siete semplicemente Al Cambio. Il ristorante caldo come una trattoria, dal servizio elegante come nemmeno il migliore fine dining e l’umanità a portata di mano come solo certe volte in una vita intera.
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classe 1974, laureata in Lettere moderne, giornalista professionista. Dalla cronaca giudiziaria e nera alle cronache di gusto, collabora con le maggiori testate di settore e principalmente con Il Gusto