Uno dei fattori determinanti per la sopravvivenza delle specie, è dimostrato, è la resilienza, ovvero la forza di trasformarsi per adattarsi ai cambianti e, in definitiva, imporsi sugli stessi. Non poteva quindi che rifarsi al canovaccio teatrale l'ars culinaria del Gran Caffè Quadri di Venezia dei fratelli Alajmo: fresco di ristrutturazione ad opera di Philip Starck, serba tutto il fascino di quando già era caffè letterario e ospitava i sollazzi, oltre ai pensieri, di Byron e Stendhal. Antichi fasti rinverditi e resi edibili da Silvio Giavedoni e Sergio Preziosa.
La boiserie, gli arazzi, l'alto artigianato veneziano che plasma sia le vettovaglie che gli arabeschi della carta da parati, ammanta anche il bestiario degli animali impagliati… qui tutto concorre alla messa in scena della migliore umanità, tanto più che siamo proprio in piazza San Marco. La sala, perfettamente amministrata da Stefano Munari, Marco Cicchelli e Roberto Pepe, tiene il tempo di una pièce allegra ma non troppo: alterna serio e faceto e li combina, spesso anche all'interno di un medesimo piatto dove convivono alto e basso, miseria, quella del porto, e decadente nobiltà, a passo di rondò. Come nell'umile Risotto di gò impreziosito dalla grancevola e dai garusoli ma sdoganato dai fagioli borlotti.
Tra i dolci, solo apparente la semplicità della Crema della Serenissima in cui si manifesta la tecnica sopraffina, mescolata coi ricordi d'infanzia, della J più famosa della cucina italiana. Dopo l'emergenza, oltre a i due menu degustazione, si può anche scegliere alla carta 2 o 3 portate (120 e 160 euro).
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folli amanti dell’alta cucina, in totale sono una ventina, sempre alla ricerca di emozioni. La causa? Un’irresistibile Passione Gourmet