L’insegna originaria da cui l’omonima Osteria Alla Concorrenza di oggi prende il nome (via Melzo 12, +390291672012)
Lentezza. Forse l'ultimo colore con cui ritrarre Milano, la città che chiede sempre l’ora ma non ha mai il tempo. Ma non esiste solo la Milano frenetica, spiccia e disincantata dalla meraviglia che la lentezza riesce ancora a smuovere. C’è anche quella che scorre piano, che non si prende il nostro tempo ma che offre il suo in una dimensione più piccola, nascosta, che richiede la pazienza di cercarla. Corriamo, corriamo, corriamo, ma non essendo tutti atleti, saltuariamente sarebbe bene progettare una pausa, riconnetterci con noi stessi - prima di farlo con chi abbiamo di fronte - spegnere il telefono e goderci il nostro tempo, semplicemente abbracciando la lentezza, come in questi 7 indirizzi milanesi. Perché se il cibo dev’essere “buono, pulito e giusto”, non dev’esserlo anche il suo tempo?
Latteria La Cicala
Non è detto che la fiaba della cicala e la formica debba avere una sola versione. Ci sono cicale che hanno speso il loro tempo saggiamente, pensando al bene altrui, oltre che al proprio, dando vita a posti quasi mistici, come nel caso della Latteria La cicala. Qui, Anna Cicala, una donna con fare prorompente, a tratti distaccato, tempo fa trasformò quella che era appunto una latteria sulla via del tramonto, in un ristoro che pare di più il retrobottega di una maga. Un minuscolo labirinto delle meraviglie, con un’accumulazione caotica ma al contempo affascinante, di stoviglie, bicchieri e posate, in ogni caso ben sistemate, da prendere per comporre da sé la propria mise en place, nella stanzina di fronte al banco oppure, nella bella stagione, nel dehor fuori.
Il fascino continua e sfiora piccoli e grandi dettagli. Dal frigorifero anni 50, alla ghiacciaia a bauletto che invece ha più di 100 anni, ai libri da leggersi a pranzo o da portar via, sistemati in una cassetta all'esterno. Un posticino che riscuote grande successo in tutto il quartiere di Porta Venezia, dove serve verdure cotte nel modo più semplice possibile, fritte, in padella o al forno, e altri piattini (anche salumi e formaggi se richiesti), tutti preparati nel retro, in una cucina mignon. Il pane è fatto con il lievito madre che accompagna la famiglia di Anna da ben 3 generazioni, lo stesso con cui vengono impastati i biscotti e le torte, che per soli due euro a porzione, completano il menu del pranzo a dieci euro, comprensivo di acqua e coperto. Provare per credere.
Latteria La Cicala, via Felice Bellotti 13
Macelleria Popolare
La lentezza a volte è davanti ai nostri occhi in attesa di accoglierci. È il caso di Macelleria Popolare, il piccolo banco con vista dentro il Mercato di Piazza XXIV Maggio. È qui che chef Giuseppe Zen, insieme a Paolina Mineo, la cuoca che lo affianca, è capace di incantare i passanti con tutta l’eleganza che può avere la semplice preparazione di una tartare. Basti guardare come il coltello scivola dolce sul taglio di carne cruda, che poco prima giaceva in bella vista dentro al banco. Incantevole davvero. Una carne battuta al momento, pronta per essere portata a spasso, verso i tavolini che affacciano sulla conca della Darsena. Qui ci si può prendere il tempo di scegliere - con cura - il proprio pezzo di carne, che sia lingua, roast beef o magari pastrami, gustandolo con calma proprio dirimpetto ai Navigli. La scelta è ampia, va dai Panini con lampredotto (9 euro), pastrami (14 euro), genovese (13 euro), e non solo, alla Cucina, da cui poter assaggiare il brasato (16 euro), le polpette della nonna, le cervella fritte (12 euro), arrosticini e mondeghili (3 euro), per arrivare fino alla Griglia, per una bombetta o messinese (3 euro), fegatelli in rete (8 euro) o un midollo (9 euro). Tutto ciò che il cuore può chiedere insomma, senza dimenticarsi della parte più massiccia, quella di tagliata, costata e fiorentina a peso. Tutti animali allevati solo ad erba, grass fed, che quindi porta lo chef alla costante ricerca di piccoli allevatori che seguano questa filosofia. Se avete tempo - e conviene trovarlo - fate che sia Zen a condurvi in questo arduo percorso.
Matì, via Cesare Correnti 23, +393425101206
Botoi
“Il gusto della vita va assaporato in pausa”. C’è scritto su un quadro appeso alle pareti di un minuscolo bistrot di Porta Venezia, quella meno affollata dalla movida notturna, più precisamente da Botoi, il luogo di Lodovico Rosselli. Varcata la soglia c’è da chiedersi se si veramente usciti per andare a cena fuori, o se invece non si sia solo capitati in una stanza nascosta che ha sempre fatto parte di casa nostra. Botoi è casa, è un camino spento arredato da libri, è una cucina grande forse meno della nostra, con un frigo pressoché simile al nostro. Lodovico invece è cuoco, oste, cameriere, lavapiatti, imprenditore, costruttore, direttore di sala e una piacevolissima persona, riservata, ma cortese.
Botoi è il confine che divide i bistrot francesi dai bacari veneziani, un compromesso tra queste due anime, aperto solo a cena, con un servizio informale e piatti impeccabili, dal primo all’ultimo. La cucina omaggia Venezia fin dal nome, con Botoi, che in veneziano indica proprio un carciofino locale, tipico di Sant’Erasmo, un’isola della laguna a cui Lodovico e la moglie tengono molto. Pasta fatta in casa, dal raviolo allo gnocchetto, con un menu che varia in base a ciò che si trova al mercato o a quello che i piccoli produttori offrono. Anche qui le verdure prendono il sopravvento, come per l’asparago bianco con yogurt e puntarelle (11 euro), la vignarola (13 euro), le sarde in saor, muhammara e daikon (10 euro), ma lascia spazio anche al pesce e alla carne, proponendo ad esempio gli gnocchetti alla busara (14 euro) o le costine di manzo alle 10 spezie e crauti (14 euro). Prezzi più che giusti per una cucina indi, dall’idea, al piatto e mise en place, in un menu che non prevede l’etichetta del primo o del secondo, ma lascia ogni piatto alla libera interpretazione. Entrate, chiudete la porta dietro di voi. Benvenuti a casa.
Altatto, via Comune Antico 15, +393286641670
Altatto propone due menu degustazione, da 4 (50 euro) o 6 portate (65 euro), con piatti come Pechinese, sedano rapa, crespelle al vapore ed erbe primaverili, Tegoline, fagiolini in panko, zenzero marinato, polvere di togarashi e ortiche, e Sapore di mare, spaghetti mantecati con foglie di borragine, lievito e acqua di carciofi. Immancabile signature di Altatto è invece il tagliere di fermentati, che emula il classico tagliere di formaggi ma in versione vegetale, a base di frutta secca o legumi di loro produzione, un bonsai di felicità che scioglie ogni miscredenza tratta dall’utopico vangelo “il vegano non appaga”.
Osteria Alla Concorrenza
«Chi ha un’idea forte, qualcosa da dire, non conosce concorrenza». Niente di più vero, perché come dice Diego Rossi, «chi non ha un’idea da seguire guarda alla concorrenza», ma chi ce l’ha, chi ha le competenze per realizzarla e ha un credo forte, apre Osteria Alla Concorrenza. Un nome, un controsenso? Non proprio. Dopo aver aperto una trattoria, la poco conosciuta Trippa, Diego, insieme a Enricomaria Porta e Josef Khattabi, apre un’osteria. Un posto che in qualsiasi paesino d’Italia sarebbe probabilmente stato “normale”, ma che nella frenesia di Milano spicca per la responsabilità che si accolla, ovvero quella di ricordarci il buon tempo speso al “bar”, luogo di chiacchiera, dove si andava per il cosiddetto ristoro, a bere del vino in compagnia, magari con qualche sfizio che desse tregua alla fame.
L’idea c’è e l’oste pure. Enricomaria, ormai pezzo d’arredo di Osteria Alla Concorrenza, è entrato a pieno nel personaggio. È lui a raccontare le 1.400 etichette – spesso con la partecipazione degli special guest della serata, i piccoli produttori degli stessi vini - e i piatti dell’osteria, di cui invece di occupa Marco Marini, secondo capostipite di Osteria, anche lui qui dal primo giorno. Dietro al banco prepara e assembla realtà opposte, ma complici, per dar vita a un delirio di emozioni, come nel caso del cotechino di Carlo Alberto Macelleria ben sistemato sopra il panettone al parmigiano di caseificio di Rosola insieme ai ciccioli di Panificio Forli. Ma la scelta è ampia: crostoni dai 6 ai 10 euro, tra cui Tastasal e friarielli, Tartare di cavallo e aringa affumicata, o ancora Coscia affumicata e rafano; focacce e taglieri, ma anche piattini che variano a seconda della stagione, come le Fave in caravatta (3 euro), Gallina in saor (14 euro), Bruscahdol, sparasine, nocciole e balsamela (10 euro), e un angolino dedicato alle frattaglie “di casa”, come Trippa in umido (12 euro) e Nervetti (7 euro). Tutta la proposta è bella in vista, scritta a mano su una lavagna all’entrata, ma se raccontata dall’oste o dal suo braccio destro Nicolò Balestrazzi, assume sempre quel fascino in più. Piatti assemblati al momento e se necessario riscaldati al microonde, perché proprio come nelle osterie di un tempo, non c’è cucina, ma ci sono tavolini fuori e dentro, e anche un bancone per godersi la pausa distratti dalle chiacchiere dell’oste. Qui il tempo pare davvero essersi fermato, figlio della stessa insegna vintage di un vecchio ferramenta degli anni passati, Alla Concorrenza, da cui l’Osteria milanese ha ereditato il suo nome e forse il suo allure.
copywriter per mestiere, food writer per piacere (Italia Squisita e Cook_Inc), nel tempo libero racconta gli staff dei ristoranti su Fegatelli