Creative Contemporary Korean cuisine: a New York chiamano così il moderno fine dining coreano. Definizione che da qualche anno rappresenta una piacevole novità cittadina, ideata all’inizio per giovani e promettenti chef corean-mericani quali Jungsik Yim (nel ristorante Jungsik) o Brian Kim (Oiji). Di recente però la stessa definizione si è sprecata ancora più entusiasticamente per il trentaseienne chef Junghyun Park, cresciuto proprio ai fornelli di Jungsik e oggi acclamato alfiere del bistellato Atomix dopo il successo della precedente insegna-sorella Atoboy, tuttora aperta.
Trattasi in effetti di locale cool e sulla bocca di tutti, nonostante la difficoltà di trovare un tavolo (solo 14 coperti), l’obbligo di anticipare il conto sul web, la location in un anonimo palazzo senza insegna e senza citofono, in zona NoMad. A questa fama “atomica” ha contribuito senz’altro la moderna, minimalista eleganza degli interni su due piani (sotto ristorante con tavolo a U, sopra lounge bar e after dinner), come pure la raffinata vaissellerie in ceramica, le preziose bacchette artigianali, le curate carte quasi da gioco che accompagnano le portate: su una faccia il nome del piatto, sull’altra gli ingredienti.
Ma soprattutto, una cucina che vede materie prime e ricette sudcoreane gustosamente abbinate e shakerate tramite tecniche o prodotti cinesi, giapponesi, francesi e nordeuropei. Risultato? Sorprese tipo Sgombro, fegato di rana pescatrice e biscotti Nuruk; Japchae (noodle di patate) con rapa e tartufo nero o Gelato al riso con jocheong e miele.
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articolo a cura degli autori di Identità Golose
(nella foto: "Ravioli alle erbe e rapa bianca" di Antonia Klugmann, piatto simbolo del congresso di Identità Milano 2024)