Tanti si propongono di matchare la cucina italiana con le più diverse culture gastronomiche internazionali; alcuni ci riescono; pochi son capaci di apportarvi armonia; pochissimi sanno arrivare all’eccellenza, a un’esaltante condivisione di concetti, sapori, profumi. Juan Camilo Quintero è tra questi ultimi.
Lui, colombiano di Bogotà, classe 1989, ci appare predestinato a una carriera da campione. Ciò, per la facilità con la quale risolve rebus gastronomici, ossia per l’assoluta padronanza nella composizione di quei mattoncini dell’aroma che vanno a comporre l’architettura gustativa del piatto. Con un plus non da poco: gestisce in scioltezza non solo quelli a noi conosciuti, d’area mediterranea, ma apporta pure gli altri, quelli sudamericani a lui familiari. Mixa insieme e… sorpresa! Ne escono composizioni esatte, pulite eppure graffianti. In questa fase gli è solo di vantaggio la presenza di Enrico Bartolini come suo “supervisore” al Poggio Rosso.
Quintero ci è parso eccezionale in due momenti. Nei primi piatti intanto, a dimostrazione di come un approccio diverso alla pasta “italiana” possa scaturire più facilmente da chi non è cresciuto mangiandola a casa propria e ha quindi meno vincoli di pensiero (Maccheroncini all'anice e cozze, tartare di agnello, cavolo nero ripassato e Pici & peanuts, latte di Pienza e whisky torbato, geniali). Poi, per un piatto magistrale: Animella al burro di angostura, verdure marinate, tartare di manzo alla fava tonka, brodo di bucce di platano tostato. Forse la nostra migliore animella di sempre.
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Ristorante con camere
Tavoli all’aperto
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classe 1974, giornalista professionista, si è a lungo occupato soprattutto di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa esattamente l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta sui viaggi e sulla buona tavola. Caporedattore di identitagolose.it