Siamo a Pompei. Qui Paolo e Laila Gramaglia portano avanti da anni un lavoro prezioso di analisi su quella che doveva essere la cucina locale nel 79 d.C., quando la città venne annientata e nel medesimo tempo preservata dall'eruzione del Vesuvio. Tale opera si è addentrata in particolare nell'ambito della panificazione; cosa che oggi consente a Gramaglia di presentare al proprio commensale - nel locale ben curato, dove regna una cultura dell’accoglienza quasi d’altri tempi, appunto - un'offerta di pagnotte che dialoga con quel passato lontano.
Anche la cucina vera e propria trae ispirazione da quelle vicende. È il caso di Satura, piatto di benvenuto degli antichi pompeiani. Gramaglia ne ricava una fresca zuppa di farro e orzo, molto buona, con bacche di goji, disidratazione di lampone e gel di passion fruit. Dall'antipasto al dessert: la Cassata Oplontis dal 79 d.C. al 2015 è a sua volta la trasposizione contemporanea di un dolce che fu. Conosciamo quali ne fossero gli ingredienti dagli studi sui testi di Apicio, nel De re coquinaria: e dunque uva passa, spezie, miele, frutta fresca, frutta candita, ricotta, mandorle. Anche in questo caso, godibilissima la riuscita.
In generale, la nostra cena è stata di ottima soddisfazione. Lo chef abbonda di personalità e tale caratteristica traspare dai suoi piatti, che non seguono i dettami della scuola mediterranea imperante attorno, ma cercano cross over originali. Con buon esito, anche perché tale attitudine non sfocia in sovrabbondanza aromatica, i piatti risultano sempre piuttosto puliti e dai gusti netti.
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Tavoli all'aperto
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classe 1974, giornalista professionista, si è a lungo occupato soprattutto di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa esattamente l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta sui viaggi e sulla buona tavola. Caporedattore di identitagolose.it