Appena sbarcati nel denso reticolo di Bogotà – 9 milioni di abitanti, la seconda città più popolosa del Sudamerica – ha senso vincere l’inevitabile jet-lag facendosi travolgere dall’energia d’El Chato. I milanesi conoscono Alvaro Clavijo perché il ragazzo ha aperto da poco a Milano Mitù, l’insegna del calciatore Ivan Ramiro Cordoba, eroe nazionale. Ma è in quest’insegna di Chapinero Alto, quartiere in ascesa nelle gerarchie di chi ama divertirsi in città, che tutto ha avuto inizio.
Dovessimo fare paragoni impropri, diremmo che Clavijo è il Diego Rossi colombiano (o che Rossi è il Clavijo italiano): come il veronese di Trippa, prima di aprire quest’insegna groovy su due piani, il bogotano ha lavorato in lungo e in largo dietro a importanti insegne di Barcellona, Parigi, New York e Copenhagen. Nel 2017, l’apertura del suo bistrot contemporaneo, che fa leva innanzitutto sullo straordinario (e per noi misconosciuto) bagaglio di biodiversità colombiane. Granadilla, tucupi, arracachi, leche de tigre de berro sono materie cotte, grigliate o marinate secondo un istinto che punta quasi sempre a tenere fuori dalla porta i chirurgici impiatti fine dining. Vince l’istinto del talento, la veste che calza meglio a trote e granchi, totani e carne di manzo.
Con una degnissima offerta alcolica: tra cocktail favolosi, vini naturali e aguardiente locali, conviene farsi dare il numero del taxi prima che tutto degeneri.
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laurea in Filosofia, coordina i contenuti della Guida ai Ristoranti di Identità Golose, collabora con varie testate e tiene lezioni di gastronomia presso scuole e università. Instagram @gabrielezanatt