Quando un cuoco di grande valore, modernista o infine di tradizione, in parallelo o più facilmente in continuità col proprio periodo diciamo così ‘eroico’, diventa, talvolta inevitabilmente, uomo d’affari, si pone il problema del valore dell’immaginario che la sua figura e la sua cucina suscitano nel mondo. Ne consegue la cura, in ogni sua forma, intrinseca, nonché esteriore, della propria immagine, finendo col valutarla come il più prezioso dei beni materiali di cui dispone.
Il ristorante di Alain Ducasse al Plaza Athénée ne è il più fulgido esempio. Ducasse è un mito. Il resto dev’essere all’altezza. Intanto l’impatto della sala, eclatante, nello scintillio di luci dall’alto e nei riflessi sottostanti. Bilanciato al contempo da un’elegante essenzialità ai tavoli. Un servizio che per inarrivabile mix di tecnica e spontaneità è forse il migliore esista al mondo. Le persone ai tavoli? Un bel mondo, che ambienta come sospeso nel tempo un ecosistema d’età media visibilmente più bassa rispetto a quella degli altri tristellati. Preambolo e conclusione di livello raro.
Le portate centrali d’estrema chiarezza gustativa (e in linea con la nuova didattica dei tempi: più spazio al vegetale, nessuno alla carne), nella purezza della materia prima e nella ben studiata punteggiatura dell’accompagnamento. Vale a dire la regola dell’arte nell’eccellenza della sua espressione, ma senza grandi voli, se non nella lussuosità e relativo prezzo di qualche piatto, per la trasgressione. Indimenticabile, last but not least, il senso del dolce di Jessica Prealpato, più che pasticcera.
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Ristorante con camere
ligure, nell'attesa di ciò che mangerà talvolta scrive di ciò che ha mangiato: buono da scrivere, buono da mangiare