Ha saputo far vibrare le corde su cui risuona l'orgoglio nazional-popolare con una pizza che, già nel nome del locale, rimanda al canovaccio che presiede alla sua esecuzione. Lievitata, e lievitata 48 ore, per la precisione, oggetto di una levitazione prima ancora che di una lievitazione. Sensazione enfatizzata dalla scelta del mastro pizzaiolo, all'anagrafe Giorgio Caruso, di servirsi di farina di crusca e germe di grano integrali, ovverosia mantenuti nella loro interezza nutrizionale. E tanta e tale è stata la risposta che, accanto alla proposta meneghina, in quel di via Ravizza, Lievità si trova a suo agio in tutto l'orbe terracqueo a dimostrazione che la pizza è un linguaggio universale, e che ovunque significa Italia.
Questa di Caruso, in particolare, si presta bene a esaudire, tra gli altri, anche un intento divulgativo. In ogni sua pizza s'innesta un territorio, o una regione, che racconta con l'alfabeto più efficace: quello della materia prima. La Siciliana? Con pomodoro San Marzano, melanzane, olio extravergine di Nocellara del Belice e scorzetta di limone candita, tocco erudito, gourmet, apostroferebbe qualcuno. La Campania, intensa e teatrale, col pomodoro del Piennolo e l'impasto ben idratato, come si fa in quel di Napoli.
La scelta delle farine integrali, va però precisato, restituisce un impasto assai tenace, e ciò è parte integrante del codice gustativo di Lievità che alla scioglievolezza preferisce la consistenza. Il tutto sdrammatizzato da condimenti edotti e iper-territoriali.
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folli amanti dell’alta cucina, in totale sono una ventina, sempre alla ricerca di emozioni. La causa? Un’irresistibile Passione Gourmet