Qualcuno lo chiamava il Noma di Santiago, solo per dire che qui si fa una cucina che non ha eguali in tutto il paese, ma che ha radici ben piantate nell'incredibile biodiversità del Cile. Ma ora, in epoca past-pandemica, Boragò è solo Boragò, un'insegna che brilla sempre più di luce propria. Grazie alle sue materie prime: dal deserto di Atacama alla Terra del Fuoco si possono trovare prodotti unici al mondo. A cominciare dall'acqua, che arriva da una fonte in Patagonia ed è di una leggerezza straordinaria.
Grazie a Rodolfo Guzman la cucina cilena è avviata a seguire il processo che ha rivoluzionato l'enologia del pase più lungo e più stretto del Sudamerica (o del mondo). Una volta i vini cileni erano gli ultimi della lista, oggi si punta sulla qualità e anche sul biodinamico. In un paio d'ore qui si fa un viaggio straordinario tra ricette prima sconosciute come Pullmai, una zuppa tradizionale di carne servita fredda, con aggiunta di pesce.
Il menu estivo 2022 si apre con un bouquet di fiori ed erbe che preconizza quel che sarà: un’insisitita presenza di vegetali, raccolti secondo regimi strettamente bio nell’orto a pochi minuti di macchina dal ristorante. Il Crudo di astice di Juan Fernández – finito alla brace in compagnia di frutta cilena – spiega in quel genitivo un altro principio irrinunciabile del ristorante: il pescato è figlio di un dialogo coi pescatori in persona, senza intermediari. Wine pairing di altissimo livello, con le migliori etichette cilene. E per chi non beve, juice pairing.
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articolo a cura degli autori Identità Golose