Pizza e cocktail: c'è chi cresce e chi, invece, litiga
di Paolo Marchi

Paolo Marchi
Pizza e cocktail, un binomio partito in sordina una decina di anni fa. La pizza ha sempre chiamato la birra a livello popolare e lo spumante in alternativa gioiosa. I cocktail invece incarnano il piacere di bere bene a fine giornata, bar o ristorante che sia, una risposta alle proposte analcoliche tutta frutta, verdure e fermentazioni che a ragione furoreggiano un po’ ovunque. Ma questo procedere a braccetto è un figlio nato da poco, sulla spinta della crescita qualitativa delle pizzerie, che dura da una ventina d’anni ormai e che trae nuova linfa dalla bellezza del gesto del bartender che incanta fino a stregare chi si rivolge a lui.
E credo anche che, psicologicamente, un cocktail in apertura di cena venga visto come una risposta tranquillizzante a controlli sempre più severi per chi si mette alla guida a fine serata. Si è portati a pensare che un Negroni lo smaltisci dopo due o tre ore, la bottiglia o gli assaggi portata dopo portata ti espongono a rischi maggiori.
Sia come sia, guardando le due realtà separatamente non si può che registrare una qualità sempre maggiore, che travalica i nostri confini. I nostri bartender primeggiano nelle classifiche che coprono il mondo del fine drinking ai quattro angoli del pianeta. Sono preparati, scrupolosi, anche ironici e lesti a mettersi in discussione davanti alle richieste di chi si affida loro.
Quanto alla pizza, è la nostra bandiera che nel tempo abbiamo donato al mondo e che dovremmo curare meglio. Non intendo a livello di ingredienti, impasti e condimenti, bensì di immagine. C'è tanta litigiosità dentro e attorno alla galassia Margherita e Quattro stagioni. Invece di impegnarsi perché nessuno possa avanzare pretese sulla paternità della pizza e sia chiaro che è sinonimo assoluto di italianità, sono troppi coloro che guardano al loro orticello e battagliano per ostacolare la concorrenza. Così si rimane sempre indietro.