Panificio Bonci

Gabriele Bonci è per me una figura di riferimento assoluto. L’ho scoperto – anzi: me ne sono innamorato – fin da ragazzino, guardandolo mentre era ospite di una trasmissione televisiva, mi pare fosse La Prova del Cuoco: seppe trasmettermi già attraverso il piccolo schermo la “luce”, ossia la passione per questo mestiere di “dare da mangiare”. Mi ricordo che parlava di ingredienti, delle mani che toccano, capiscono, interpretano… Io ero a guardarlo incantato: mi affascinò del tutto e ebbi subito la percezione di una persona straordinaria, incredibile, non solo come pizzaiolo ma proprio come cuoco perché, che sia una pizza o un piatto da ristorante, poco cambia quando si sa costruire l’idea del sapore.

Grazie a Tommaso Tonioni ho poi anche avuto modo di accostarmi al lavoro Gabriele più direttamente e soprattutto di capire quanta profondità di pensiero ci fosse nel suo rapporto con i piccoli produttori d’eccellenze, ossia con gli artefici delle materie prime. La ricerca forsennata degli ingredienti è il capitolo uno di qualsiasi libro che abbia Bonci come protagonista: provavo persino invidia per questo fatto, il suo prendere l’automobile e andare a conoscere direttamente gli artigiani del gusto, così da accumulare una conoscenza vera, sterminata delle cose. Tuttora vorrei aver accumulato anche solo metà delle sue esperienze.

La sua pizza non è solo buona: è cultura, è ricerca, è rispetto per la materia prima e per chi la produce.