Sancho

Sancho per me è la pizzeria del cuore soprattutto perché è la fotografia di un periodo della mia vita nel quale vivevo a Fiumicino, quindi lontano da casa. Era una sorta di safe place. Innanzitutto per la qualità, per la materia che servivano, e poi per le persone che c'erano dentro. Per me la cosa da valutare nei locali, oltre al prodotto, è proprio l'identità. E Sancho vanta un'identità forte, storica: parla di belle persone che da anni, ogni giorno, svolgono il loro compito, come veri artigiani, in maniera eccellente.

Propone la pala romana, croccantissima: l’impasto è meraviglioso, friabile, come ne ho incontrati pochi nella mia vita. Poi mi piace anche per un altro motivo, diciamo generazionale: io ero lì quando al padre Franco Di Lelio poco a poco si sono affiancati i figli Andrea ed Emiliano; loro hanno iniziato anche a essere attivi sui social, a volte anche in modo trasgressivo, quindi ho colto in loro un segno di contemporaneità molto evidente.

Sancho riesce a incarnare la continuità (nell’arte bianca) ma insieme l’innovazione. Riesce poi a far contenta la clientela – che sia quella della sede di Fiumicino o quella dei due indirizzi a Roma, poco importa – ma con una proposta sempre al passo coi tempi. Io, quando ero lì, ci andavo praticamente tutti i giorni.