Il cuoco più interessante di San Pietroburgo si chiama Igor Grishechkin, ha 35 anni e viene da Smolensk, una cittadina più a sud, al confine con la Bielorussia. Con rudimenti di cucina italiana e francese nel bagaglio, nel 2013 prende il timone dell’elegante Kokoko, un appendice del W hotel, vicino alla Prospettiva Nevsky.
Non è facile concepire una cucina creativa o “fine dining” in un paese precipitato per 70 anni nel letargo gastronomico. Ma i millennial russi stanno lentamente sgomberando il campo dalle abitudini sovietiche. È a loro che si rivolge lo chef al giovedì, l’unico giorno della settimana in cui sfodera il menu creativo da 5.000 rubli (circa 70 euro), negli altri dì soverchiato da più rassicuranti borscht, storioni grigliati e crème brûlée.
Dietro a qualche impiatto rustico à la grande Nord (il fieno, i brandelli di foresta, i sassi del fiume) c’è un piacevole senso di playfulness, in ognuna delle 12 corse del menu, dall’uovo come una meringa del benvenuto (Kokoko è il verso universale del volatile), servito nella confezione delle uova, fino al lollipop gelatinoso della piccola pasticceria. Contenuto russi al 100%, come quelli dell’ormai celebre Uovo Fabergè di cioccolato bianco, caviale e oro, che riprende il gioiello pasquale che Alessandro III regalava ogni anno alla regina. E la Kasha isz topora, l’antica leggenda della Zuppa di pietra, in cui un uomo armato d’ascia (che qui è di burro e nero di seppia che poi si scioglie nella ciotola) cucina porridge volante.
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classe 1973, laurea in Filosofia, giornalista freelance, coordina i contenuti della Guida ai Ristoranti di Identità Golose dalla prima edizione (2007), collabora con varie testate e tiene lezioni di gastronomia presso diverse scuole e università. twitter @gabrielezanatt instagram @gabrielezanatt