Tempesta di gangli neuronali, sciame sismico di neuroni nell’auditorium principale nel lunedì della Decima di Identità Golose, dedicato alle intelligenze. E parafrasando Tolstoj, tutti i cretini si assomigliano, mentre ogni persona col sale in zucca lo è a suo modo. Intelligenza del silenzio è quella di Niko Romito di Reale a Castel di Sangro, che più cresce e più diventa essenziale. Parlano solo i piatti. Ne presenta attraverso dei video asciutti e quasi metafisici undici, una nazionale dei sapori essenziali, giocata su quattro basi che diventano un moltiplicatore di sensazioni mnemoniche. Perché la cucina – Niko ne è convinto e noi con lui – è memoria. Lo scampo che diventa tagliatelle, ripieno di un raviolo e si specchia in sé stesso.

Niko Romito del Reale di Castel di Sangro (L'Aquila), video metafisici
Il carciofo che si sublima a scortare un baccalà marinato sette giorni nell’olio evo, a dar corpo a un risotto e si assolutizza in un arrosto di se stesso. La spigola che si accompagna agli spaghetti, si infila in un geometrico tortello e finisce in forno con una foglia di olivo. Infine la mandorla, che finisce in un tortellino e con la carne di manzo. Niko si guadagna anche il premio
Grana Padano per il miglior piatto dell’anno con le Animelle con panna limone e sale Intelligenza dell’attenzione è quella dei tre esponenti di
Noi di Sala, l’associazione che riunisce le professionalità che lavorano nei ristoranti senza essere chef:
Giuseppe Palmieri, sommelier dell’
Osteria Francescana di Modena,
Alessandro Pipero, patròn e sommelier di
Pipero al Rex di Roma e
Marco Reitano, sommelier della
Pergola del Rome Cavalieri di Roma.

Beppe Palmieri, Alessandro Pipero, Marco Reitano, i tre di sala. Sullo schermo, Oscar Farinetti
Lo sbarco dei tre sul palco principale di
IG è il gregario che vince il Tour, è la comparsa che conquista l’Oscar. Un Pipero insolitamente emozionato (“generalmente faccio 30 coperti, oggi siete in centinaia”), rialza così la testa: “Il terzino e il centravanti fanno lo stesso mestiere, quello di calciatore. Perché chef, cameiere e sommelier devono essere considerati mestieri differenti quando anche loro hanno il solo scopo di far vincere la loro squadra?”. Alla fine sul palco salgono anche
Oscar Farinetti (“grazie per l’atmosfera che sapete creare”) e
Massimo Bottura (“che cita
Michel Guérard: “Una cucina cattiva vale il 100 per cento dell’esperienza, una cucina buona ne vale il 48, perché il restante 52 è dato da altro”).
Intelligenza democratica è quella di
Rodrigo Oliveira di
Mocotò di San Paolo in Brasile. Fisico da terzino d’attacco brasiliano, faccia da attore, Rodrigo nel suo locale della capitale gastronomica brasiliana ma al di fuori delle rotte chic percorre una strada fatta di lusso. Lusso? Sì, ma il lusso della semplicità: da lui non si prenota, e il ricco mangia accanto al povero piatti fatti con ingredienti francescani e atavici. Come la manioca, con cui sul nostro palco realizza con pochi gesti antichi e mistici una frittellina. Concetto che poi declina unendo alla farina di manioca del vino Barbera e del formaggio nella
Vinioca (
instant name). Poi un omaggio a
Paolo Marchi, un Maiale con fagioli e poi erbe e cereali tradizionali.

Rodrigo Oliveira, dal Brasile con furore
Intelligenza delle passioni, infine, quella di
Massimo Bottura dell’
Osteria Francescana di Modena. Che rapisce la platea con un censimento delle sue emozioni, con un video che racconta la sua filosofia (parola una volta tanto non usata a vanvera) e con una lineare
Triglia alla livornese con dentro uno scampo per donare dolcezza. E la dolcezza femminile è quella in cui un
Bottura particolarmente immaginifico si rifugia con una sfilata di sei giovani donne che lavorano nel suo locale (
Sara,
Virginia,
Jessica,
Mineko,
Alessandra e
Laura) ognuna con un piatto di sua creazione. Perché la squadra conta più dell’ego, per quanto esso sia muscoloso.