Foto Maurizio Camagna
7, avenue de Gramont Vichy Francia T. +33.(0)470.976506 jacques.decoret@wanadoo.fr
Jacques Decoret é un cosmopolita paesano, un quarantenne in sincronia col suo tempo ma dall’incedere incessantemente sfasato. Fosse une battuta, sarebbe un beat, una frazione in anticipo sul suo ritmico incedere programmato, un levare impercettibilmente in ritardo – a fianco dell’effetto desiderato. Quel che ci piace in lui é proprio la sua controllata sragione. Glielo hanno detto tutti: fosse salito a Parigi invece di tornare a varcare il suolo della regione natale oramai sarebbe riconosciuto almeno quanto l’amico Pascal Barbot «mio fratello», dice Jacques, sempre sentimentale. Invece è nella repubblichina cittadella termale di Vichy che ha aperto bottega, di che far passare la mussoliniana Salò per un centro balneare, a un tiro di schioppo dalla ferroviaria stazione, tra una pizzeria e un sexy shop, il mitico Kamasutra. Il premio della costanza di sicuro se l’é meritato: sopravvivere in un habitat così impermeabile al gagnairiano genio dell’artista torturato è di per se un exploit. Lavora di testa, col senno del poi, riflettendo a posteriori a quel che gli passa il convento: «con una cucina non più grande d’uno sgabuzzino bisogna far prova di creatività». Ecco quindi l’origine dei suoi piatti febbrilmente deterministi, strappati alla reificazione del contesto: come il pesce oublié mezza giornata in un angolino accanto al forno, omeopaticamente cotto a 40°C, «a temperatura ambiente». Ecco quindi le sue elucubrazioni, i suoi test da provetto alchimista, le sue scabiniane equazioni sensoriali (metti della borraggine a cena a posto dell’ostrica e l’effetto è quasi lo stesso), i suoi virtuosistici tour de force. E sì perché se la Triglia con l’insalata di pissenlit gialla ai pinoli e salsa di rafano è un piatto d’attacco frontale, altri classici evergreen – uno per tutti, la Croquette di lumache ai calamaretti - ricordano anche ai più distratti che l’insigne Decoret, prima ancora di posare da giovine rampollo della Nuova Cucina, si laureò sgobbando nottetempo nell’aula maestra dei Maîtres Ouvriers de France. Ognuno coltiva le contraddizioni che si porta appresso. Lui darebbe tutto di sè. Svelando d’un piatto pure la sua parte di mistero. E un didattico, un petulante (futuro Relais & Châteaux) che prenderebbe i clienti per mano spiegando i retroscena, i dubbi, il senso ascensionale delle sue creazioni. Passerà pure per un ludico, addiritura per un post-modernista (come se due paglie, tre siringhe e qualche tocco di gelatina bastassero per fare con l’abito anche il monaco) quando invece, tra razionalità, espressionismo e crisi della Kultur per noi è piu’ un nostalgico modernista del tempo che fu. D’altronde, ogni volta che ci mettiamo a tavola da Jacquot, come il serafino dell’Angelus Novus di Walter Benjamin, sbirciamo con apprensione la Storia che si profila implacabile alle nostre spalle.
di
giornalista italiano con residenza francese, già collaboratore di Gambero Rosso, Gault Millau e Libération, oggi scrive per Cook_Inc, Biscuit, 'Express e Fooding. E' french chairman di World's 50 best e creative director di Cook it Raw
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