Foto Brambilla-Serrani
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Quando oggi si scrive di Massimo Bottura bisogna certo ricordare, come ad esempio sa e scrive bene Alessandra Meldolesi, autrice con Bob Noto di 6 (sei) per Cucina&Vini, volume fondamentale per capire la nuova cucina italiana sorta negli Anni Zero, che «alle origini c’è stata la trattoria di Campazzo, aperta nel 1987. Lì Massimo si concepisce patron, ma gradualmente la situazione gli sfugge di mano e si ritrova naturalmente a gravitare attorno ai fornelli di Lidia Cristoni. È lei la sua prima maestra, presto seguita da Georges Cogny, sacerdote di cucina classica a Nonantola, e Alain Ducasse, che lo porta con sé al Louis XV. Qui Massimo va a lezione di pulizia gustativa, concentrazione e organizzazione, tre principi che non dimenticherà mai più». Seguirà l’incontro con Ferran Adrià, quando Massimo ha messo piede e testa nella Osteria Francescana già da 3 anni. È il 1999, si sta per chiudere un anno che vale anche come un secolo e un millennio, proprio come accade ora che al cambio di decennio ci si accorge di quanto l’ultima decade abbia inciso nella ristorazione italiana grazie a figure come quella di Bottura, consacrato nel 2011 con le tre stelle Michelin, il quarto, poi il terzo, poi il secondo, poi il primo posto assoluto nella classifica mondiale dei 50Best 2016 e nel 2018 (nel 2017 arrivò secondo e prima ottenne anche il titolo di Chef's choice, il preferito dai migliori colleghi del mondo) e i 20 ventesimi nella Guida dell’Espresso. Viaggio ancora lunghissimo perché il mondo si accorga che la cucina italiana intesa come pizza, pasta, risotti e sorrisi è fatta da cuochi che hanno teste pensanti, che sanno come utilizzare le miniere di prodotti d’eccellenza uscendo da stereotipi che fanno soprattutto folklore. Chef come l’emiliano fanno paura perché rompono con il passato senza rinunciare a essere italianissimi. Quando si (stra)parla di tradizione (a proposito, esiste a mo’ di monolito statico o è la somma di mille idee vincenti, un movimento continuo?), quando si scomoda la cucina molecolare confondendo tecnica e pietanza, bisognerebbe fare un passo indietro e fermarsi a gustare a Modena piatti come la Compressione di pasta e fagioli e il Bollito non bollito per capire che sono la somma contemporanea di secoli di cucina italiana che è andata per il mondo e torna nel Buon Paese per attingere nuova linfa. Leggi anche Bottura si carica sulle spalle l'Italia Bottura sul tetto del mondo Ve la racconto io la Francescana Cameriere per un giorno in Francescana L'Osteria Francescana ai raggi X
di
nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose. blog www.paolomarchi.it instagram instagram.com/oloapmarchi
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La Cupola del Brunelleschi è il dessert firmato da Filippo Saporito alla Leggenda dei Frati
Caterina Ceraudo di Dattilo e Nicolò Quarteroni di Ferdy Wild, rispettivamente protagonisti del prossimo e dello scorso appuntamento a Eataly Smeraldo con il ciclo di appuntamenti “Giovani Talenti: incontro con la cucina del futuro”, firmati congiuntamente da Eataly e Identità Golose
Da sinistra lo chef de Cave della Maison Louis Roederer, Jean-Baptiste Lécaillon, Jessica Rosval, chef del ristorante Al gatto verde, che ha interpretato i piatti di Massimo Bottura, e il proprietario della Maison, Frédéric Rouzaud