09-09-2016
La regione vitata della Wairau Valley, nel Marlborough, all’estrema punta nord dell’isola a sud di Nuova Zelanda. E' il quartier generale di Cloudy Bay, tre quarti di produzione Sauvignon Blanc, 10% Pinot Nero. La cantina è figlia di un'intuizione di David Hohnen. Primo vino prodotto: 1985
Guardando il territorio, ci si aspetta che spunti fuori all’improvviso qualche elfo o hobbit. Suggestioni create dalla saga cinematografica del Signore degli Anelli: paesaggi da sogno, da fiaba, che possiamo solo immaginare.
Ma in Italia possiamo comunque immergerci in questa natura incontaminata assaporando i vini della Nuova Zelanda. La poesia di un posto magico, si trasforma in splendide espressioni di viticoltura, a noi forse poco nota, che però pian piano sta conquistando piccole fette di mercato anche in Italia. Si tratta di ambiti di nicchia, dove i vini neozelandesi non sfigurano con le bottiglie più “altolocate” italiane e straniere.
Il caso emblematico è quello di Cloudy Bay, un’azienda che si trova nella Wairau Valley, nel Marlborough, all’estrema punta nord dell’isola a sud. Per comprendere l’importanza della zona, basti pensare che il 73% del vino della Nuova Zelanda viene prodotto proprio nella regione del Marlborough. Qui, tre quarti dei vigneti sono di Sauvignon Blanc, mentre il 10% circa è coltivato a Pinot Nero.
La batteria di Cloudy Bay assaggiata al Sushi B di via Fiori Chiari a Milano
La cantina nasce nel 1984, quando David Hohnen, il fondatore, si innamora della Nuova Zelanda e crede che possa avere un grande potenziale, soprattutto per il Sauvignon. Poi, con il socio Kevin Judd, apre Cloudy Bay, e il primo vino viene prodotto nel 1985. Da allora di strada ne è stata fatta e Hohnen ci aveva visto giusto: si potevano fare dei grandi vini. E ne sono una dimostrazione, per fare esempi molto più recenti per quanto riguarda le annate, il Sauvignon Blanc 2015, che se per certi versi può sembrare un po’ “didattico”, esprime appieno l’aromaticità di questo straordinario vitigno. La novità, per il mercato italiano, è invece il Te Koko 2012, sempre 100% di Sauvignon Blanc, con uve che provengono da 6 vitigni differenti: questa volta c’è l’utilizzo del legno, anche in fermentazione, che ne amplifica il bouquet aromatico e ne aumenta anche la struttura. Un vino importante, ma comunque molto elegante.
Più che degni i match cibo/vino orchestrati dallo chef Niimori Nobuya
I vini sono stati presentati durante una splendida serata che si è svolta a Milano, al Sushi B di via Fiori Chiari, con abbinamenti sempre azzeccati.
Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo
a cura di
giornalista de La Provincia di Como, sommelier e appassionato di birra artigianale. Crede che ogni bicchiere di vino possa contenere una storia da raccontare. Fa parte della redazione vino di Identità Golose