15-04-2015
La compagine italiana di Fontegro, primo congresso di cucina che ha luogo tra ieri e oggi allo stadio olimpico di Kiev, in un momento di relax. Da sinistra si riconoscono la coorganizzatrice Ekaterina Avdeyeva, Christian Milone, Viviana Varese, la co-organizzatrice Anna Zelenokhat, Lorenzo Cogo, Eugenio Roncoroni e, baciato dalla luce, Errico Recanati (foto Federico Cicogna, Loveresto)
Tira vento tra le nuvole di Kiev. Ma non la brezza ghiacciata che avvolse la piazza centrale, Euromaidan, nell’inverno tra il 2013 e il 2014, quello della grande crisi. È la primavera ucraina, che chiama il paese alla rinascita. Una resurrezione identitaria che passa attraverso la cucina e il cibo. Un’idea non inedita, in fondo: Lo Mejor de la Gastronomia, la prima congrega di cuochi creativi della storia recente (1999), faceva leva proprio sull’orgoglio irredentista di baschi e catalani.
Ma Fontegro è il primo congresso di cucina d’autore non solo di un paese in guerra ma – se la visuale non ci inganna - dell’intera galassia ex sovietica, un macrocosmo nel quale includiamo anche paesi un tempo sotto l’influenza indiretta (ma pressante) del Cremlino: dalla Slovenia alla Polonia, dall’Ungheria alle Repubbliche Baltiche.
Se l’alta cucina ha finalmente infranto la cortina di ferro, occorre dire grazie ad Anna Zelenokhat ed Ekaterina Avdeeva, due donne segnate da un alto tasso di illuminata incoscienza (leggi l’intervista programmatica), pasionarie capaci di portare allo stadio Olimpico di Kiev alcuni dei migliori cuochi giovani del mondo per «Dotare i nostri chef di oggi, tecnicamente indecisi tra passato e futuro, di una bussola che li orienti verso la cucina di domani».
Eugenio Roncoroni (Al Mercato, Milano) offre alla platea ucraina gli effluvi della salsa di pesce
Ma il mito della cucina local comincia ad attecchire anche qui, assieme al tentativo di pescatori, contadini e allevatori ucraini di svoltare su tecniche più al passo col resto del mondo. Così come si eleva lo status sociale del cuoco che, complici anche trasmissioni alla Hell’s Kitchen, spinge sempre più giovani nelle braccia di una professione un tempo invisa (anche perché oggi potrebbe concedere più opportunità per lavorare fuori dal paese, inutile negarlo).
Ieri, nella prima delle due giornate di Fontegro, sono intervenuti a centinaia a popolare la sala laterale dello stadio olimpico. Hanno ascoltato rapiti e pazienti le idee di Peeter Pihel, cuoco estone che ha tentato di ridefinire la cucina baltica (ne scrivemmo qui), ora sous chef di Magnus Nilsson a Fäviken, 800 km a nord di Stoccolma. La verve spicy di Eugenio Roncoroni e Beniamino Nespor, brillanti e tempestati di domande sullo spirito autentico dello streetfood, «che non dev’essere una moda ma uno stile di vita» (i due stanno già stanno pensando a imbastire cene a 4 mani con cuochi ucraini Al Mercato). La piemontesità della Trattoria Zappatori (da poco rivoluzionata nel concept: meno tavoli, più cucina gourmet) di Christian Milone tra risi alla rosa, tagliolini "di" verdure ed esaltazioni di gambi di carciofi in un paese allergico a ogni spiffero vegetariano (la sera prima, al buonissimo ristorante Sito-Piano abbiamo consumato 6 pietanze, tutte di carne...).
INTERMEZZO. Tra una lezione e l'altra, il borsch, piatto nazionale ucraino. Accanto, il pane da immergere copiosamente nella zuppa di bietole e cavoli
Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo
a cura di
classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. instagram @gabrielezanatt