27-06-2017

La leggenda di Alain Senderens nel ricordo dei suoi allievi italiani

E' scomparso ieri il grande cuoco francese. L'omaggio di Carlo Cracco, Riccardo Monco e Andrea Ribaldone

Alain Senderens (1939-2017), cuoco tra i più gran

Alain Senderens (1939-2017), cuoco tra i più grandi della Francia degli ultimi 4 decenni (foto terroirsdechefs.com)

È morto ieri sera a Corrèze, in Aquitania, all’età di 77 anni, Alain Senderens, monumento dell’alta cucina francese. Classe 1939, nato a Hyères in Provenza, è stato tra i sostenitori del manifesto della Nouvelle Cuisine nel 1973, un momento che ha segnato la prima rottura con l'haute cuisine del primo Novecento e influenzato intere legioni di chef (anche in Italia, filtrato dall’insegnamento di Gualtiero Marchesi).

Il profilo pubblico di Senderens si apre nel 1968 a Parigi, quando rileva l’Archestrate in rue de Varenne (oggi sede dell’Arpege di Alain Passard, il suo allievo più illustre). Dieci anni dopo ottiene le 3 stelle Michelin, un’onorificenza che all’epoca possono vantare solo altre 3 insegne a Parigi (Tour d’Argent, Taillevent e Joël Robuchon).

Il mito di Senderens lievita definitivamente a partire dal 1985, quando prende il timone del Lucas Carton in place de la Madeleine, un ristorante che ha fatto epoca così come il rifiuto delle 3 stelle due decenni dopo, nel 2005: lo chef si recò umilmente dai responsabili della Rossa per spiegare che avrebbe cambiato linea di cucina, a favore di un’offerta più snella e democratica. Per questo, non poteva più sostenere gli standard dei due decenni precedenti. Lo declassarono a due stelle.

Nelle ultime ore tanti colleghi riconoscono pubblicamente il grande valore storico del cuoco: «Grazie per le ispirazioni di una vita», ha twittato ad esempio Renè Redzepi, «sei stato una persona di grande classe ed eleganza». Noi abbiamo sentito 3 illustri allievi italiani che lo ebbero come maestro. In ordine cronologico, Carlo Cracco, Riccardo Monco e Andrea Ribaldone.

Cracco ha lavorato al Lucas Carton nel 1991, per un anno e mezzo. «Il ristorante», ricorda il vicentino, «mi impressionò già quando ci andai a mangiare nel 1989. Allora lavoravo al Louis XV di Montecarlo. Dissi a Ducasse che mi sarebbe piaciuto imparare da Senderens. Lui mi mise in guardia: ‘Guarda che lì lavorano, mica come qui…’. Per dirvi del livello mostruoso di professionalità. Si diceva che se facevi bene al Lucas Carton, potevi fare bene ovunque…».

Canard Apicius, anatra alle spezie, tra le più celebri prerazioni di Alain Senderens (foto terroirsdechefs.com)

Canard Apicius, anatra alle spezie, tra le più celebri prerazioni di Alain Senderens (foto terroirsdechefs.com)

I ritmi erano massacranti: «Entravamo alle 7.30 e uscivamo all’1.30 di notte. Cento coperti a pranzo, 120 a cena. Sempre pieni tranne che nei giorni di chiusura, sabato e domenica. Ci lavoravano 70 persone tra cucina e sala e c’erano ben tre partite per le carni». Cracco le fece tutte e 3: «Oltre a quella delle guarnizioni e del saucier, che pensava a tutte le cotture e ai jus, c’era una partita dedicata solo ai suoi due grandi piatti classici, Foie gras chaud au chou e Canard Apicius. Il foie gras con la verza l’ho cucinato tutti i giorni per due mesi: ne facevamo 12 chili al giorno. Un piatto dall’aspetto molto semplice ma difficilissimo da cuocere. L’anatra, invece, veniva preparata con una salsa di miele, aceto, coriandolo e spezie». Una pietanza che esprimeva benissimo due caratteristiche di Senderens: lo studio approfondito di antiche ricette della tradizione romana e mediterranea e la progressiva influenza di schemi di cucina non solo francesi. «Amava molto anche la cucina del Marocco: facevamo una pastilla di coniglio alle spezie buonissima. Era molto bravo nella costruzione del menu. E si vedevano già le prime cotture al sottovuoto».

Il ricordo umano: «Era un vero signore. Aveva un’impostazione molto forte, carismatica. Gli piaceva il sigaro e aveva una grande passione per i vini: fu il primo, credo, a studiare un menu in cui ogni piatto aveva in abbinamento un calice di vino diverso. Oggi è uno schema molto comune, all’epoca non lo faceva nessuno». Cracco lavorò anche al pass, accanto a madame Senderens: «Era un'impostazione che non avevo mai visto. Lei era ancora più severa del marito. ‘Mia moglie’, mi spiegò una volta Alain, ‘non è una cuoca ma è bravissima a capire quello che stai facendo'. la madame dettava il servizio alla sua maniera: cambiava le carte all'improvviso, chiamava i tavoli in maniera diversa. Eravamo sempre tutti sulla corda perché era difficile memorizzare le comande di centinaia di clienti. Ricordo dei cazziatoni memorabili».

Senderens amava l’Italia: «Mi disse che da giovanissimo lavorò nel ristorante di un hotel nel centro di Milano. Anni dopo lo accompagnai in un lungo viaggio in Puglia: mangiammo da Bufi. Conosceva i nomi di tutti i migliori ristoranti italiani». C’era anche un po’ d’Italia in carta al Lucas: «Apprezzava Gualtiero Marchesi. Sapeva che ci avevo lavorato: mi chiese di fare il Risotto allo zafferano. Non era all’onda, più tipo timballo. Lo cucinavo nella partita dei pesci... Gli piaceva anche la pasta, ma come contorno. ‘Io non l’ammetto’, mi opposi una volta. Mi guardò, e sorrise: ‘perché sei italiano’». Proprio come tutta la legione di ragazzi che andava lì in pellegrinaggio a imparare: «Con me», ricorda Cracco, «c’erano anche Andrea Sarni, Umberto Zanassi, Brendan Becht. Poco dopo venne Riccardo Monco, che avrei ritrovato poi all’Enoteca Pinchiorri».

Alain Senderens secondo Bob Noto

Alain Senderens secondo Bob Noto

«Feci al Lucas Carton quasi tutte le partite, dal 1992 al 1993», rammenta invece il milanese Monco, oggi co-chef con Annie Féolde dell’insegna fiorentina, «antipasti freddi, pane, antipasti caldi, carne, quella della canard e dei classici. Ricordo dei buonissimi Ravioli di pasta cinese con canestrelli. Utilizzava tante spezie, è stato precursore della fusione tra culture in cucina». Modi sempre garbati: «Ogni giorno si aggirava tra tutte le partite a premurarsi che tutto funzionasse bene, anche a livello umano. Salutava tutti, dal lavapiatti al sommelier. E anche il pasto del personale era sempre magnifico: mangiavamo carre d’agnello al pesto, patate arrosto ripassate col burro spumeggiante, pretendeva che ognuno di noi mangiasse come il cliente. Non ci pareva vero».

Serba ricordi altrettanto belli Andrea Ribaldone, da poco chef dell’Osteria Arborina nelle Langhe, in apprendistato alla corte di Senderens nel 1998: «Ricordo che arrivava presto la mattina e stringeva la mano a tutta la brigata. All’epoca eravamo 41 solo in cucina, cui si aggiungevano i 30 della sala. Teneva decine e decine di tipi di caviale in un armadio che si apriva solo attraverso una combinazione, come una cassaforte». Il lavoro era un massacro: «Il 100% del cibo di ogni servizio era espresso: tra il pranzo e la cena cominciavamo a preparare tutto completamente da capo, non si riciclava nulla. Ogni tanto nascondevamo qualche cialda per non rifarle tutte. Ma se ti beccava il suo secondo nel giro di riconginizione, erano cavoli amari».

«Senderens per noi era una specie di divinità». E non solo per i cuochi: «Quasi ogni settimana, veniva al ristorante Jacques Chirac, presidente della Repubblica francese. Si sedevano insieme a mangiare e chiacchierare. Dava la misura di quanto un cuoco potesse già essere importante in Francia».


Zanattamente buono

Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo

a cura di

Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

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