31-12-2016

Il 2016 di Zanatta in 9 foto

Nel best of del nostro redattore c'è un degustazione da 7 portate, un menu per bambini e una colazione faraonica

Le 9 immagini che riassumono il Best of 2016 del g

Le 9 immagini che riassumono il Best of 2016 del giornalista Gabriele Zanatta: ci sono i piatti di 7 cuochi (Corrado Assenza, Riccardo Camanini, Luca De Santi, Luca Fantin, Matias Perdomo, Errico Recanati e Luigi Taglienti), un mini-menu degustazione per bambini (di Mauro Uliassi) e un ricchissimo vassoio da colazione (di Iside De Cesare). Tutti i dettagli, nella fotogallery

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Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.

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Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.

Questo Spaghetto ai ricci di mare è stato cucinato da Luca Fantin, chef trevisano del Bulgari di Tokyo, nel ristorante di Milano della medesima maison. La cena seguiva alla presentazione del suo libro, uscito per i tipi di Assouline.

Se Fantin cucina col 90% di ingredienti giapponesi, nel restante 10% di materie prime italiane, c’è spazio per la pasta (Felicetti). Solo che bisogna fare i conti coi gusti del Sol Levante: «Sette anni fa, appena aperto il ristorante, mi tornava indietro l’80% degli spaghetti: ‘troppo crudi’, protestavano i giapponesi. Ma erano semplicemente al dente. Ho capito che non potevo impormi con violenza. Ma al tempo stesso non volevo adottare solo pasta fresca nel menu, un genere più affine al loro gusto perché più morbido al palato».

La caponaggine ha dato vita a espedienti molto riusciti. Come quello messo in atto con questo spaghetto: stracotto per 3 minuti, è poi rinvenuto attraverso un rapido shock in acqua ghiacciata (a 4°C). La temperatura di servizio ridotta non ha scalfito la cremosita della pasta nè la sua succulenza. 

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Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.









Questo Spaghetto ai ricci di mare è stato cucinato da Luca Fantin, chef trevisano del Bulgari di Tokyo, nel ristorante di Milano della medesima maison. La cena seguiva alla presentazione del suo libro, uscito per i tipi di Assouline.

Se Fantin cucina col 90% di ingredienti giapponesi, nel restante 10% di materie prime italiane, c’è spazio per la pasta (Felicetti). Solo che bisogna fare i conti coi gusti del Sol Levante: «Sette anni fa, appena aperto il ristorante, mi tornava indietro l’80% degli spaghetti: ‘troppo crudi’, protestavano i giapponesi. Ma erano semplicemente al dente. Ho capito che non potevo impormi con violenza. Ma al tempo stesso non volevo adottare solo pasta fresca nel menu, un genere più affine al loro gusto perché più morbido al palato».

La caponaggine ha dato vita a espedienti molto riusciti. Come quello messo in atto con questo spaghetto: stracotto per 3 minuti, è poi rinvenuto attraverso un rapido shock in acqua ghiacciata (a 4°C). La temperatura di servizio ridotta non ha scalfito la cremosita della pasta nè la sua succulenza. 

Il Risotto peperoni, alici, panna e caffè di Errico Recanati di Andreina a Loreto (Ancona). Un piatto servito scomposto che chiede allo stesso cliente di farsi la mantecatura al tavolo. Gioco a parte, è un primo che sintetizza perfettamente grassezza (la panna), dolcezza (i peperoni), amarezza (caffè) e umami (le alici). E' firmato da un cuoco molto in gamba, felice di sudare nell'ombra.

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Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.









Questo Spaghetto ai ricci di mare è stato cucinato da Luca Fantin, chef trevisano del Bulgari di Tokyo, nel ristorante di Milano della medesima maison. La cena seguiva alla presentazione del suo libro, uscito per i tipi di Assouline.

Se Fantin cucina col 90% di ingredienti giapponesi, nel restante 10% di materie prime italiane, c’è spazio per la pasta (Felicetti). Solo che bisogna fare i conti coi gusti del Sol Levante: «Sette anni fa, appena aperto il ristorante, mi tornava indietro l’80% degli spaghetti: ‘troppo crudi’, protestavano i giapponesi. Ma erano semplicemente al dente. Ho capito che non potevo impormi con violenza. Ma al tempo stesso non volevo adottare solo pasta fresca nel menu, un genere più affine al loro gusto perché più morbido al palato».

La caponaggine ha dato vita a espedienti molto riusciti. Come quello messo in atto con questo spaghetto: stracotto per 3 minuti, è poi rinvenuto attraverso un rapido shock in acqua ghiacciata (a 4°C). La temperatura di servizio ridotta non ha scalfito la cremosita della pasta nè la sua succulenza. 









Il Risotto peperoni, alici, panna e caffè di Errico Recanati di Andreina a Loreto (Ancona). Un piatto servito scomposto che chiede allo stesso cliente di farsi la mantecatura al tavolo. Gioco a parte, è un primo che sintetizza perfettamente grassezza (la panna), dolcezza (i peperoni), amarezza (caffè) e umami (le alici). E' firmato da un cuoco molto in gamba, felice di sudare nell'ombra.

Merluzzo marinato nel miele di fiori d’arancio, timo e salvia, servito con capperi, cavolfiore e crema di mandorle e zucca gialla. Lo ha cucinato, rifinendolo al tavolo del cliente, Corrado Assenza del Caffé Sicilia di Noto (Ragusa) al ristorante Sturehof di Stoccolma, in occasione della Settimana della cucina italiana nel mondo, un mese fa. 

E' il grande nord (il merluzzo) che si addormenta, va alla deriva e si risveglia in un coloratissimo eden di effluvi e sapori mediterranei e siciliani. E' l'ennesima riprova che definire Assenza un pasticciere, seppure il più grande che ci sia in Italia, è riduttivo. 

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Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.









Questo Spaghetto ai ricci di mare è stato cucinato da Luca Fantin, chef trevisano del Bulgari di Tokyo, nel ristorante di Milano della medesima maison. La cena seguiva alla presentazione del suo libro, uscito per i tipi di Assouline.

Se Fantin cucina col 90% di ingredienti giapponesi, nel restante 10% di materie prime italiane, c’è spazio per la pasta (Felicetti). Solo che bisogna fare i conti coi gusti del Sol Levante: «Sette anni fa, appena aperto il ristorante, mi tornava indietro l’80% degli spaghetti: ‘troppo crudi’, protestavano i giapponesi. Ma erano semplicemente al dente. Ho capito che non potevo impormi con violenza. Ma al tempo stesso non volevo adottare solo pasta fresca nel menu, un genere più affine al loro gusto perché più morbido al palato».

La caponaggine ha dato vita a espedienti molto riusciti. Come quello messo in atto con questo spaghetto: stracotto per 3 minuti, è poi rinvenuto attraverso un rapido shock in acqua ghiacciata (a 4°C). La temperatura di servizio ridotta non ha scalfito la cremosita della pasta nè la sua succulenza. 









Il Risotto peperoni, alici, panna e caffè di Errico Recanati di Andreina a Loreto (Ancona). Un piatto servito scomposto che chiede allo stesso cliente di farsi la mantecatura al tavolo. Gioco a parte, è un primo che sintetizza perfettamente grassezza (la panna), dolcezza (i peperoni), amarezza (caffè) e umami (le alici). E' firmato da un cuoco molto in gamba, felice di sudare nell'ombra.









Merluzzo marinato nel miele di fiori d’arancio, timo e salvia, servito con capperi, cavolfiore e crema di mandorle e zucca gialla. Lo ha cucinato, rifinendolo al tavolo del cliente, Corrado Assenza del Caffé Sicilia di Noto (Ragusa) al ristorante Sturehof di Stoccolma, in occasione della Settimana della cucina italiana nel mondo, un mese fa. 

E' il grande nord (il merluzzo) che si addormenta, va alla deriva e si risveglia in un coloratissimo eden di effluvi e sapori mediterranei e siciliani. E' l'ennesima riprova che definire Assenza un pasticciere, seppure il più grande che ci sia in Italia, è riduttivo. 

La Testa di dotto grigliata che può capitare di trovare al Lido 84 di Gardone Riviera (Brescia). Riccardo Camanini ha la fortuna di conoscere due pescatori del golfo di Oristano che pescano in profondità, con le palamite. Quando va bene gli mandano questi dotti (stessa famiglia della cernia) di pezzature esagerate.

La testa del pesce - piuttosto grassa e ricca di carne nella guancia, nel sottogola e negli interstizi delle cervella - viene grigliata lentamente e servita intera al tavolo. Accanto c'è un piatto cosparso di colatura di alici, olio extravergine d'oliva, fegato disidratato dello stesso pesce e una grattata di limone e rafano. Intingerci i pezzi di dotto è un gesto arcaico che riconcilia col mondo.

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Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.









Questo Spaghetto ai ricci di mare è stato cucinato da Luca Fantin, chef trevisano del Bulgari di Tokyo, nel ristorante di Milano della medesima maison. La cena seguiva alla presentazione del suo libro, uscito per i tipi di Assouline.

Se Fantin cucina col 90% di ingredienti giapponesi, nel restante 10% di materie prime italiane, c’è spazio per la pasta (Felicetti). Solo che bisogna fare i conti coi gusti del Sol Levante: «Sette anni fa, appena aperto il ristorante, mi tornava indietro l’80% degli spaghetti: ‘troppo crudi’, protestavano i giapponesi. Ma erano semplicemente al dente. Ho capito che non potevo impormi con violenza. Ma al tempo stesso non volevo adottare solo pasta fresca nel menu, un genere più affine al loro gusto perché più morbido al palato».

La caponaggine ha dato vita a espedienti molto riusciti. Come quello messo in atto con questo spaghetto: stracotto per 3 minuti, è poi rinvenuto attraverso un rapido shock in acqua ghiacciata (a 4°C). La temperatura di servizio ridotta non ha scalfito la cremosita della pasta nè la sua succulenza. 









Il Risotto peperoni, alici, panna e caffè di Errico Recanati di Andreina a Loreto (Ancona). Un piatto servito scomposto che chiede allo stesso cliente di farsi la mantecatura al tavolo. Gioco a parte, è un primo che sintetizza perfettamente grassezza (la panna), dolcezza (i peperoni), amarezza (caffè) e umami (le alici). E' firmato da un cuoco molto in gamba, felice di sudare nell'ombra.









Merluzzo marinato nel miele di fiori d’arancio, timo e salvia, servito con capperi, cavolfiore e crema di mandorle e zucca gialla. Lo ha cucinato, rifinendolo al tavolo del cliente, Corrado Assenza del Caffé Sicilia di Noto (Ragusa) al ristorante Sturehof di Stoccolma, in occasione della Settimana della cucina italiana nel mondo, un mese fa. 

E' il grande nord (il merluzzo) che si addormenta, va alla deriva e si risveglia in un coloratissimo eden di effluvi e sapori mediterranei e siciliani. E' l'ennesima riprova che definire Assenza un pasticciere, seppure il più grande che ci sia in Italia, è riduttivo. 









La Testa di dotto grigliata che può capitare di trovare al Lido 84 di Gardone Riviera (Brescia). Riccardo Camanini ha la fortuna di conoscere due pescatori del golfo di Oristano che pescano in profondità, con le palamite. Quando va bene gli mandano questi dotti (stessa famiglia della cernia) di pezzature esagerate.

La testa del pesce - piuttosto grassa e ricca di carne nella guancia, nel sottogola e negli interstizi delle cervella - viene grigliata lentamente e servita intera al tavolo. Accanto c'è un piatto cosparso di colatura di alici, olio extravergine d'oliva, fegato disidratato dello stesso pesce e una grattata di limone e rafano. Intingerci i pezzi di dotto è un gesto arcaico che riconcilia col mondo.

Il Monte Bianco di Luca De Santi, pasticciere del Ratanà di Milano. C'è una parte ipertradizionale di chantilly e marron glaces, molto ricca. Ma anche una componente salata (i marroni sono saltati nel burro, nocciola e sale) e una acida (il limone che si trova nella meringa sbriciolata sopra, candito col sale). 

E' il meno "desantiano" di tutti i dolci-non-dolci che questo ragazzo vicentino propone nell'insegna di Cesare Battisti. Il dolce preferito di chi scrive, che da piccolo spendeva tutte le mancette in pasticceria per accapararsi fette di quel giunonico dessert.

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Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.









Questo Spaghetto ai ricci di mare è stato cucinato da Luca Fantin, chef trevisano del Bulgari di Tokyo, nel ristorante di Milano della medesima maison. La cena seguiva alla presentazione del suo libro, uscito per i tipi di Assouline.

Se Fantin cucina col 90% di ingredienti giapponesi, nel restante 10% di materie prime italiane, c’è spazio per la pasta (Felicetti). Solo che bisogna fare i conti coi gusti del Sol Levante: «Sette anni fa, appena aperto il ristorante, mi tornava indietro l’80% degli spaghetti: ‘troppo crudi’, protestavano i giapponesi. Ma erano semplicemente al dente. Ho capito che non potevo impormi con violenza. Ma al tempo stesso non volevo adottare solo pasta fresca nel menu, un genere più affine al loro gusto perché più morbido al palato».

La caponaggine ha dato vita a espedienti molto riusciti. Come quello messo in atto con questo spaghetto: stracotto per 3 minuti, è poi rinvenuto attraverso un rapido shock in acqua ghiacciata (a 4°C). La temperatura di servizio ridotta non ha scalfito la cremosita della pasta nè la sua succulenza. 









Il Risotto peperoni, alici, panna e caffè di Errico Recanati di Andreina a Loreto (Ancona). Un piatto servito scomposto che chiede allo stesso cliente di farsi la mantecatura al tavolo. Gioco a parte, è un primo che sintetizza perfettamente grassezza (la panna), dolcezza (i peperoni), amarezza (caffè) e umami (le alici). E' firmato da un cuoco molto in gamba, felice di sudare nell'ombra.









Merluzzo marinato nel miele di fiori d’arancio, timo e salvia, servito con capperi, cavolfiore e crema di mandorle e zucca gialla. Lo ha cucinato, rifinendolo al tavolo del cliente, Corrado Assenza del Caffé Sicilia di Noto (Ragusa) al ristorante Sturehof di Stoccolma, in occasione della Settimana della cucina italiana nel mondo, un mese fa. 

E' il grande nord (il merluzzo) che si addormenta, va alla deriva e si risveglia in un coloratissimo eden di effluvi e sapori mediterranei e siciliani. E' l'ennesima riprova che definire Assenza un pasticciere, seppure il più grande che ci sia in Italia, è riduttivo. 









La Testa di dotto grigliata che può capitare di trovare al Lido 84 di Gardone Riviera (Brescia). Riccardo Camanini ha la fortuna di conoscere due pescatori del golfo di Oristano che pescano in profondità, con le palamite. Quando va bene gli mandano questi dotti (stessa famiglia della cernia) di pezzature esagerate.

La testa del pesce - piuttosto grassa e ricca di carne nella guancia, nel sottogola e negli interstizi delle cervella - viene grigliata lentamente e servita intera al tavolo. Accanto c'è un piatto cosparso di colatura di alici, olio extravergine d'oliva, fegato disidratato dello stesso pesce e una grattata di limone e rafano. Intingerci i pezzi di dotto è un gesto arcaico che riconcilia col mondo.









Il Monte Bianco di Luca De Santi, pasticciere del Ratanà di Milano. C'è una parte ipertradizionale di chantilly e marron glaces, molto ricca. Ma anche una componente salata (i marroni sono saltati nel burro, nocciola e sale) e una acida (il limone che si trova nella meringa sbriciolata sopra, candito col sale). 

E' il meno "desantiano" di tutti i dolci-non-dolci che questo ragazzo vicentino propone nell'insegna di Cesare Battisti. Il dolce preferito di chi scrive, che da piccolo spendeva tutte le mancette in pasticceria per accapararsi fette di quel giunonico dessert.

La Torta di rose di Matias Perdomo del ristorante Contraste di Milano. La celebre tarte che richiama il bouquet di rose (il copyright è del francese Alain Passard) comincia a spopolare anche in Italia (la fa anche Camanini). Superburrosa (come dev'essere), l'uruguiaiano la serve accanto a una palla di gelato alla crema. Certe tradizioni paiono davvero imperfettibili.

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Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.









Questo Spaghetto ai ricci di mare è stato cucinato da Luca Fantin, chef trevisano del Bulgari di Tokyo, nel ristorante di Milano della medesima maison. La cena seguiva alla presentazione del suo libro, uscito per i tipi di Assouline.

Se Fantin cucina col 90% di ingredienti giapponesi, nel restante 10% di materie prime italiane, c’è spazio per la pasta (Felicetti). Solo che bisogna fare i conti coi gusti del Sol Levante: «Sette anni fa, appena aperto il ristorante, mi tornava indietro l’80% degli spaghetti: ‘troppo crudi’, protestavano i giapponesi. Ma erano semplicemente al dente. Ho capito che non potevo impormi con violenza. Ma al tempo stesso non volevo adottare solo pasta fresca nel menu, un genere più affine al loro gusto perché più morbido al palato».

La caponaggine ha dato vita a espedienti molto riusciti. Come quello messo in atto con questo spaghetto: stracotto per 3 minuti, è poi rinvenuto attraverso un rapido shock in acqua ghiacciata (a 4°C). La temperatura di servizio ridotta non ha scalfito la cremosita della pasta nè la sua succulenza. 









Il Risotto peperoni, alici, panna e caffè di Errico Recanati di Andreina a Loreto (Ancona). Un piatto servito scomposto che chiede allo stesso cliente di farsi la mantecatura al tavolo. Gioco a parte, è un primo che sintetizza perfettamente grassezza (la panna), dolcezza (i peperoni), amarezza (caffè) e umami (le alici). E' firmato da un cuoco molto in gamba, felice di sudare nell'ombra.









Merluzzo marinato nel miele di fiori d’arancio, timo e salvia, servito con capperi, cavolfiore e crema di mandorle e zucca gialla. Lo ha cucinato, rifinendolo al tavolo del cliente, Corrado Assenza del Caffé Sicilia di Noto (Ragusa) al ristorante Sturehof di Stoccolma, in occasione della Settimana della cucina italiana nel mondo, un mese fa. 

E' il grande nord (il merluzzo) che si addormenta, va alla deriva e si risveglia in un coloratissimo eden di effluvi e sapori mediterranei e siciliani. E' l'ennesima riprova che definire Assenza un pasticciere, seppure il più grande che ci sia in Italia, è riduttivo. 









La Testa di dotto grigliata che può capitare di trovare al Lido 84 di Gardone Riviera (Brescia). Riccardo Camanini ha la fortuna di conoscere due pescatori del golfo di Oristano che pescano in profondità, con le palamite. Quando va bene gli mandano questi dotti (stessa famiglia della cernia) di pezzature esagerate.

La testa del pesce - piuttosto grassa e ricca di carne nella guancia, nel sottogola e negli interstizi delle cervella - viene grigliata lentamente e servita intera al tavolo. Accanto c'è un piatto cosparso di colatura di alici, olio extravergine d'oliva, fegato disidratato dello stesso pesce e una grattata di limone e rafano. Intingerci i pezzi di dotto è un gesto arcaico che riconcilia col mondo.









Il Monte Bianco di Luca De Santi, pasticciere del Ratanà di Milano. C'è una parte ipertradizionale di chantilly e marron glaces, molto ricca. Ma anche una componente salata (i marroni sono saltati nel burro, nocciola e sale) e una acida (il limone che si trova nella meringa sbriciolata sopra, candito col sale). 

E' il meno "desantiano" di tutti i dolci-non-dolci che questo ragazzo vicentino propone nell'insegna di Cesare Battisti. Il dolce preferito di chi scrive, che da piccolo spendeva tutte le mancette in pasticceria per accapararsi fette di quel giunonico dessert.









La Torta di rose di Matias Perdomo del ristorante Contraste di Milano. La celebre tarte che richiama il bouquet di rose (il copyright è del francese Alain Passard) comincia a spopolare anche in Italia (la fa anche Camanini). Superburrosa (come dev'essere), l'uruguiaiano la serve accanto a una palla di gelato alla crema. Certe tradizioni paiono davvero imperfettibili.

Il 2016 finirà negli annali per un pranzo perfetto consumato da Mauro Uliassi a Senigallia (Ancona). Perfetto anche per le attenzioni riservate ai commensali più piccoli, troppo spesso ignorati dalla ristorazione (anche quella "altissima"). Il piatto nella foto? Purè di patate e cotoletta. Vassoio, piatti e bicchieri, carinissimi, sono di Felice... Mente

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Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.









Questo Spaghetto ai ricci di mare è stato cucinato da Luca Fantin, chef trevisano del Bulgari di Tokyo, nel ristorante di Milano della medesima maison. La cena seguiva alla presentazione del suo libro, uscito per i tipi di Assouline.

Se Fantin cucina col 90% di ingredienti giapponesi, nel restante 10% di materie prime italiane, c’è spazio per la pasta (Felicetti). Solo che bisogna fare i conti coi gusti del Sol Levante: «Sette anni fa, appena aperto il ristorante, mi tornava indietro l’80% degli spaghetti: ‘troppo crudi’, protestavano i giapponesi. Ma erano semplicemente al dente. Ho capito che non potevo impormi con violenza. Ma al tempo stesso non volevo adottare solo pasta fresca nel menu, un genere più affine al loro gusto perché più morbido al palato».

La caponaggine ha dato vita a espedienti molto riusciti. Come quello messo in atto con questo spaghetto: stracotto per 3 minuti, è poi rinvenuto attraverso un rapido shock in acqua ghiacciata (a 4°C). La temperatura di servizio ridotta non ha scalfito la cremosita della pasta nè la sua succulenza. 









Il Risotto peperoni, alici, panna e caffè di Errico Recanati di Andreina a Loreto (Ancona). Un piatto servito scomposto che chiede allo stesso cliente di farsi la mantecatura al tavolo. Gioco a parte, è un primo che sintetizza perfettamente grassezza (la panna), dolcezza (i peperoni), amarezza (caffè) e umami (le alici). E' firmato da un cuoco molto in gamba, felice di sudare nell'ombra.









Merluzzo marinato nel miele di fiori d’arancio, timo e salvia, servito con capperi, cavolfiore e crema di mandorle e zucca gialla. Lo ha cucinato, rifinendolo al tavolo del cliente, Corrado Assenza del Caffé Sicilia di Noto (Ragusa) al ristorante Sturehof di Stoccolma, in occasione della Settimana della cucina italiana nel mondo, un mese fa. 

E' il grande nord (il merluzzo) che si addormenta, va alla deriva e si risveglia in un coloratissimo eden di effluvi e sapori mediterranei e siciliani. E' l'ennesima riprova che definire Assenza un pasticciere, seppure il più grande che ci sia in Italia, è riduttivo. 









La Testa di dotto grigliata che può capitare di trovare al Lido 84 di Gardone Riviera (Brescia). Riccardo Camanini ha la fortuna di conoscere due pescatori del golfo di Oristano che pescano in profondità, con le palamite. Quando va bene gli mandano questi dotti (stessa famiglia della cernia) di pezzature esagerate.

La testa del pesce - piuttosto grassa e ricca di carne nella guancia, nel sottogola e negli interstizi delle cervella - viene grigliata lentamente e servita intera al tavolo. Accanto c'è un piatto cosparso di colatura di alici, olio extravergine d'oliva, fegato disidratato dello stesso pesce e una grattata di limone e rafano. Intingerci i pezzi di dotto è un gesto arcaico che riconcilia col mondo.









Il Monte Bianco di Luca De Santi, pasticciere del Ratanà di Milano. C'è una parte ipertradizionale di chantilly e marron glaces, molto ricca. Ma anche una componente salata (i marroni sono saltati nel burro, nocciola e sale) e una acida (il limone che si trova nella meringa sbriciolata sopra, candito col sale). 

E' il meno "desantiano" di tutti i dolci-non-dolci che questo ragazzo vicentino propone nell'insegna di Cesare Battisti. Il dolce preferito di chi scrive, che da piccolo spendeva tutte le mancette in pasticceria per accapararsi fette di quel giunonico dessert.









La Torta di rose di Matias Perdomo del ristorante Contraste di Milano. La celebre tarte che richiama il bouquet di rose (il copyright è del francese Alain Passard) comincia a spopolare anche in Italia (la fa anche Camanini). Superburrosa (come dev'essere), l'uruguiaiano la serve accanto a una palla di gelato alla crema. Certe tradizioni paiono davvero imperfettibili.









Il 2016 finirà negli annali per un pranzo perfetto consumato da Mauro Uliassi a Senigallia (Ancona). Perfetto anche per le attenzioni riservate ai commensali più piccoli, troppo spesso ignorati dalla ristorazione (anche quella "altissima"). Il piatto nella foto? Purè di patate e cotoletta. Vassoio, piatti e bicchieri, carinissimi, sono di Felice... Mente. 

Ok, finito il menu degustazione, tutti a letto a rigirarsi sotto le coperte. Ma la mattina vorrete mica accontentarvi di cappuccio e brioches? Due colazioni rimarranno impresse nel mio 2016: quella da Casadonna a Castel di Sangro in Abruzzo (l'abbiamo sintetizzata tempo fa) e quella più recente alla Parolina di Acquapendente (Viterbo).

Nella tana laziale di Iside De Cesare e Romano Gordini funziona tutto al contrario: la colazione te la portano di default in camera; se vuoi farla nella sala del ristorante al piano di sotto, occorre specificarlo. Sul vassoio (nella foto), arriva una cascata di delizie dolci e salate: culatello di Spigaroli e Podere Cadassa, formaggi da latte vaccino (il nostro era a crosta fiorita di Chiodetti), pecorini di Pienza, mini-ciambelle tradizionali e al cacao, muffin, plumcake, croissant a lievitazione naturale, pane fatto in casa da lievito madre con farina ai cereali o bianco, spremute d'arancio, yogurt, marmellate d'arancia, more, prugne o frutti rossi, frutta di stagione, burro salato... Oltre la finestra, vallate a perdita d'occhio.

Quale piatto ricorderai dell’anno che sta per finire? Sono vittima della stessa domanda crudele che ho appena rivolto a 101 golosi d’Italia e del mondo. Con la differenza non da poco che, proprio come Carlo Passera ieri, noi redattori di Identità possiamo rispondere con più opzioni e sbrodolare in testi e immagini senza il timore che qualcuno passi a sforbiciare. *segue risata satanica*.

E' il mio turno: nel super-sondaggio di qualche giorno fa mi accodavo agli osanna per il memorabilissimo Pollo arrosto per due di Daniel Humm al Nomad di New York, praticamente un pasto completo. Avendo avuto un po’ di tempo per sistemare foto e pensieri del 2016, ho compilato un menu da 7 portate.

Nessuno cuoco concepirebbe mai un degustazione del genere: c’è un antipasto di carne, due primi di piatti a prevalenza pesce, due secondi (ancora di pesce) e due dessert burrosi. C’è un rapporto sbilanciato proteine/carboidrati, una grammatura complessiva esagerata delle porzioni e una somma calorica che nemmeno nel cenone che mia madre (pugliese) preparerà stasera per 3 generazioni.

Non c’è nessun attardarsi su acidità o amarezze “interessanti”, nessun apprezzamento su verdure che ambiscono ad assumere il ruolo di star del pasto. Solo una selezione di piatti che alla fine mi hanno fatto esclamare «oddio che buono». Pietanze in cui ha prevalso il gusto personale prima di ogni successiva riflessione. 

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Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.

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Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.

Questo Spaghetto ai ricci di mare è stato cucinato da Luca Fantin, chef trevisano del Bulgari di Tokyo, nel ristorante di Milano della medesima maison. La cena seguiva alla presentazione del suo libro, uscito per i tipi di Assouline.

Se Fantin cucina col 90% di ingredienti giapponesi, nel restante 10% di materie prime italiane, c’è spazio per la pasta (Felicetti). Solo che bisogna fare i conti coi gusti del Sol Levante: «Sette anni fa, appena aperto il ristorante, mi tornava indietro l’80% degli spaghetti: ‘troppo crudi’, protestavano i giapponesi. Ma erano semplicemente al dente. Ho capito che non potevo impormi con violenza. Ma al tempo stesso non volevo adottare solo pasta fresca nel menu, un genere più affine al loro gusto perché più morbido al palato».

La caponaggine ha dato vita a espedienti molto riusciti. Come quello messo in atto con questo spaghetto: stracotto per 3 minuti, è poi rinvenuto attraverso un rapido shock in acqua ghiacciata (a 4°C). La temperatura di servizio ridotta non ha scalfito la cremosita della pasta nè la sua succulenza. 

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Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.









Questo Spaghetto ai ricci di mare è stato cucinato da Luca Fantin, chef trevisano del Bulgari di Tokyo, nel ristorante di Milano della medesima maison. La cena seguiva alla presentazione del suo libro, uscito per i tipi di Assouline.

Se Fantin cucina col 90% di ingredienti giapponesi, nel restante 10% di materie prime italiane, c’è spazio per la pasta (Felicetti). Solo che bisogna fare i conti coi gusti del Sol Levante: «Sette anni fa, appena aperto il ristorante, mi tornava indietro l’80% degli spaghetti: ‘troppo crudi’, protestavano i giapponesi. Ma erano semplicemente al dente. Ho capito che non potevo impormi con violenza. Ma al tempo stesso non volevo adottare solo pasta fresca nel menu, un genere più affine al loro gusto perché più morbido al palato».

La caponaggine ha dato vita a espedienti molto riusciti. Come quello messo in atto con questo spaghetto: stracotto per 3 minuti, è poi rinvenuto attraverso un rapido shock in acqua ghiacciata (a 4°C). La temperatura di servizio ridotta non ha scalfito la cremosita della pasta nè la sua succulenza. 

Il Risotto peperoni, alici, panna e caffè di Errico Recanati di Andreina a Loreto (Ancona). Un piatto servito scomposto che chiede allo stesso cliente di farsi la mantecatura al tavolo. Gioco a parte, è un primo che sintetizza perfettamente grassezza (la panna), dolcezza (i peperoni), amarezza (caffè) e umami (le alici). E' firmato da un cuoco molto in gamba, felice di sudare nell'ombra.

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Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.









Questo Spaghetto ai ricci di mare è stato cucinato da Luca Fantin, chef trevisano del Bulgari di Tokyo, nel ristorante di Milano della medesima maison. La cena seguiva alla presentazione del suo libro, uscito per i tipi di Assouline.

Se Fantin cucina col 90% di ingredienti giapponesi, nel restante 10% di materie prime italiane, c’è spazio per la pasta (Felicetti). Solo che bisogna fare i conti coi gusti del Sol Levante: «Sette anni fa, appena aperto il ristorante, mi tornava indietro l’80% degli spaghetti: ‘troppo crudi’, protestavano i giapponesi. Ma erano semplicemente al dente. Ho capito che non potevo impormi con violenza. Ma al tempo stesso non volevo adottare solo pasta fresca nel menu, un genere più affine al loro gusto perché più morbido al palato».

La caponaggine ha dato vita a espedienti molto riusciti. Come quello messo in atto con questo spaghetto: stracotto per 3 minuti, è poi rinvenuto attraverso un rapido shock in acqua ghiacciata (a 4°C). La temperatura di servizio ridotta non ha scalfito la cremosita della pasta nè la sua succulenza. 









Il Risotto peperoni, alici, panna e caffè di Errico Recanati di Andreina a Loreto (Ancona). Un piatto servito scomposto che chiede allo stesso cliente di farsi la mantecatura al tavolo. Gioco a parte, è un primo che sintetizza perfettamente grassezza (la panna), dolcezza (i peperoni), amarezza (caffè) e umami (le alici). E' firmato da un cuoco molto in gamba, felice di sudare nell'ombra.

Merluzzo marinato nel miele di fiori d’arancio, timo e salvia, servito con capperi, cavolfiore e crema di mandorle e zucca gialla. Lo ha cucinato, rifinendolo al tavolo del cliente, Corrado Assenza del Caffé Sicilia di Noto (Ragusa) al ristorante Sturehof di Stoccolma, in occasione della Settimana della cucina italiana nel mondo, un mese fa. 

E' il grande nord (il merluzzo) che si addormenta, va alla deriva e si risveglia in un coloratissimo eden di effluvi e sapori mediterranei e siciliani. E' l'ennesima riprova che definire Assenza un pasticciere, seppure il più grande che ci sia in Italia, è riduttivo. 

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Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.









Questo Spaghetto ai ricci di mare è stato cucinato da Luca Fantin, chef trevisano del Bulgari di Tokyo, nel ristorante di Milano della medesima maison. La cena seguiva alla presentazione del suo libro, uscito per i tipi di Assouline.

Se Fantin cucina col 90% di ingredienti giapponesi, nel restante 10% di materie prime italiane, c’è spazio per la pasta (Felicetti). Solo che bisogna fare i conti coi gusti del Sol Levante: «Sette anni fa, appena aperto il ristorante, mi tornava indietro l’80% degli spaghetti: ‘troppo crudi’, protestavano i giapponesi. Ma erano semplicemente al dente. Ho capito che non potevo impormi con violenza. Ma al tempo stesso non volevo adottare solo pasta fresca nel menu, un genere più affine al loro gusto perché più morbido al palato».

La caponaggine ha dato vita a espedienti molto riusciti. Come quello messo in atto con questo spaghetto: stracotto per 3 minuti, è poi rinvenuto attraverso un rapido shock in acqua ghiacciata (a 4°C). La temperatura di servizio ridotta non ha scalfito la cremosita della pasta nè la sua succulenza. 









Il Risotto peperoni, alici, panna e caffè di Errico Recanati di Andreina a Loreto (Ancona). Un piatto servito scomposto che chiede allo stesso cliente di farsi la mantecatura al tavolo. Gioco a parte, è un primo che sintetizza perfettamente grassezza (la panna), dolcezza (i peperoni), amarezza (caffè) e umami (le alici). E' firmato da un cuoco molto in gamba, felice di sudare nell'ombra.









Merluzzo marinato nel miele di fiori d’arancio, timo e salvia, servito con capperi, cavolfiore e crema di mandorle e zucca gialla. Lo ha cucinato, rifinendolo al tavolo del cliente, Corrado Assenza del Caffé Sicilia di Noto (Ragusa) al ristorante Sturehof di Stoccolma, in occasione della Settimana della cucina italiana nel mondo, un mese fa. 

E' il grande nord (il merluzzo) che si addormenta, va alla deriva e si risveglia in un coloratissimo eden di effluvi e sapori mediterranei e siciliani. E' l'ennesima riprova che definire Assenza un pasticciere, seppure il più grande che ci sia in Italia, è riduttivo. 

La Testa di dotto grigliata che può capitare di trovare al Lido 84 di Gardone Riviera (Brescia). Riccardo Camanini ha la fortuna di conoscere due pescatori del golfo di Oristano che pescano in profondità, con le palamite. Quando va bene gli mandano questi dotti (stessa famiglia della cernia) di pezzature esagerate.

La testa del pesce - piuttosto grassa e ricca di carne nella guancia, nel sottogola e negli interstizi delle cervella - viene grigliata lentamente e servita intera al tavolo. Accanto c'è un piatto cosparso di colatura di alici, olio extravergine d'oliva, fegato disidratato dello stesso pesce e una grattata di limone e rafano. Intingerci i pezzi di dotto è un gesto arcaico che riconcilia col mondo.

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Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.









Questo Spaghetto ai ricci di mare è stato cucinato da Luca Fantin, chef trevisano del Bulgari di Tokyo, nel ristorante di Milano della medesima maison. La cena seguiva alla presentazione del suo libro, uscito per i tipi di Assouline.

Se Fantin cucina col 90% di ingredienti giapponesi, nel restante 10% di materie prime italiane, c’è spazio per la pasta (Felicetti). Solo che bisogna fare i conti coi gusti del Sol Levante: «Sette anni fa, appena aperto il ristorante, mi tornava indietro l’80% degli spaghetti: ‘troppo crudi’, protestavano i giapponesi. Ma erano semplicemente al dente. Ho capito che non potevo impormi con violenza. Ma al tempo stesso non volevo adottare solo pasta fresca nel menu, un genere più affine al loro gusto perché più morbido al palato».

La caponaggine ha dato vita a espedienti molto riusciti. Come quello messo in atto con questo spaghetto: stracotto per 3 minuti, è poi rinvenuto attraverso un rapido shock in acqua ghiacciata (a 4°C). La temperatura di servizio ridotta non ha scalfito la cremosita della pasta nè la sua succulenza. 









Il Risotto peperoni, alici, panna e caffè di Errico Recanati di Andreina a Loreto (Ancona). Un piatto servito scomposto che chiede allo stesso cliente di farsi la mantecatura al tavolo. Gioco a parte, è un primo che sintetizza perfettamente grassezza (la panna), dolcezza (i peperoni), amarezza (caffè) e umami (le alici). E' firmato da un cuoco molto in gamba, felice di sudare nell'ombra.









Merluzzo marinato nel miele di fiori d’arancio, timo e salvia, servito con capperi, cavolfiore e crema di mandorle e zucca gialla. Lo ha cucinato, rifinendolo al tavolo del cliente, Corrado Assenza del Caffé Sicilia di Noto (Ragusa) al ristorante Sturehof di Stoccolma, in occasione della Settimana della cucina italiana nel mondo, un mese fa. 

E' il grande nord (il merluzzo) che si addormenta, va alla deriva e si risveglia in un coloratissimo eden di effluvi e sapori mediterranei e siciliani. E' l'ennesima riprova che definire Assenza un pasticciere, seppure il più grande che ci sia in Italia, è riduttivo. 









La Testa di dotto grigliata che può capitare di trovare al Lido 84 di Gardone Riviera (Brescia). Riccardo Camanini ha la fortuna di conoscere due pescatori del golfo di Oristano che pescano in profondità, con le palamite. Quando va bene gli mandano questi dotti (stessa famiglia della cernia) di pezzature esagerate.

La testa del pesce - piuttosto grassa e ricca di carne nella guancia, nel sottogola e negli interstizi delle cervella - viene grigliata lentamente e servita intera al tavolo. Accanto c'è un piatto cosparso di colatura di alici, olio extravergine d'oliva, fegato disidratato dello stesso pesce e una grattata di limone e rafano. Intingerci i pezzi di dotto è un gesto arcaico che riconcilia col mondo.

Il Monte Bianco di Luca De Santi, pasticciere del Ratanà di Milano. C'è una parte ipertradizionale di chantilly e marron glaces, molto ricca. Ma anche una componente salata (i marroni sono saltati nel burro, nocciola e sale) e una acida (il limone che si trova nella meringa sbriciolata sopra, candito col sale). 

E' il meno "desantiano" di tutti i dolci-non-dolci che questo ragazzo vicentino propone nell'insegna di Cesare Battisti. Il dolce preferito di chi scrive, che da piccolo spendeva tutte le mancette in pasticceria per accapararsi fette di quel giunonico dessert.

Galleria fotografica






Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.









Questo Spaghetto ai ricci di mare è stato cucinato da Luca Fantin, chef trevisano del Bulgari di Tokyo, nel ristorante di Milano della medesima maison. La cena seguiva alla presentazione del suo libro, uscito per i tipi di Assouline.

Se Fantin cucina col 90% di ingredienti giapponesi, nel restante 10% di materie prime italiane, c’è spazio per la pasta (Felicetti). Solo che bisogna fare i conti coi gusti del Sol Levante: «Sette anni fa, appena aperto il ristorante, mi tornava indietro l’80% degli spaghetti: ‘troppo crudi’, protestavano i giapponesi. Ma erano semplicemente al dente. Ho capito che non potevo impormi con violenza. Ma al tempo stesso non volevo adottare solo pasta fresca nel menu, un genere più affine al loro gusto perché più morbido al palato».

La caponaggine ha dato vita a espedienti molto riusciti. Come quello messo in atto con questo spaghetto: stracotto per 3 minuti, è poi rinvenuto attraverso un rapido shock in acqua ghiacciata (a 4°C). La temperatura di servizio ridotta non ha scalfito la cremosita della pasta nè la sua succulenza. 









Il Risotto peperoni, alici, panna e caffè di Errico Recanati di Andreina a Loreto (Ancona). Un piatto servito scomposto che chiede allo stesso cliente di farsi la mantecatura al tavolo. Gioco a parte, è un primo che sintetizza perfettamente grassezza (la panna), dolcezza (i peperoni), amarezza (caffè) e umami (le alici). E' firmato da un cuoco molto in gamba, felice di sudare nell'ombra.









Merluzzo marinato nel miele di fiori d’arancio, timo e salvia, servito con capperi, cavolfiore e crema di mandorle e zucca gialla. Lo ha cucinato, rifinendolo al tavolo del cliente, Corrado Assenza del Caffé Sicilia di Noto (Ragusa) al ristorante Sturehof di Stoccolma, in occasione della Settimana della cucina italiana nel mondo, un mese fa. 

E' il grande nord (il merluzzo) che si addormenta, va alla deriva e si risveglia in un coloratissimo eden di effluvi e sapori mediterranei e siciliani. E' l'ennesima riprova che definire Assenza un pasticciere, seppure il più grande che ci sia in Italia, è riduttivo. 









La Testa di dotto grigliata che può capitare di trovare al Lido 84 di Gardone Riviera (Brescia). Riccardo Camanini ha la fortuna di conoscere due pescatori del golfo di Oristano che pescano in profondità, con le palamite. Quando va bene gli mandano questi dotti (stessa famiglia della cernia) di pezzature esagerate.

La testa del pesce - piuttosto grassa e ricca di carne nella guancia, nel sottogola e negli interstizi delle cervella - viene grigliata lentamente e servita intera al tavolo. Accanto c'è un piatto cosparso di colatura di alici, olio extravergine d'oliva, fegato disidratato dello stesso pesce e una grattata di limone e rafano. Intingerci i pezzi di dotto è un gesto arcaico che riconcilia col mondo.









Il Monte Bianco di Luca De Santi, pasticciere del Ratanà di Milano. C'è una parte ipertradizionale di chantilly e marron glaces, molto ricca. Ma anche una componente salata (i marroni sono saltati nel burro, nocciola e sale) e una acida (il limone che si trova nella meringa sbriciolata sopra, candito col sale). 

E' il meno "desantiano" di tutti i dolci-non-dolci che questo ragazzo vicentino propone nell'insegna di Cesare Battisti. Il dolce preferito di chi scrive, che da piccolo spendeva tutte le mancette in pasticceria per accapararsi fette di quel giunonico dessert.

La Torta di rose di Matias Perdomo del ristorante Contraste di Milano. La celebre tarte che richiama il bouquet di rose (il copyright è del francese Alain Passard) comincia a spopolare anche in Italia (la fa anche Camanini). Superburrosa (come dev'essere), l'uruguiaiano la serve accanto a una palla di gelato alla crema. Certe tradizioni paiono davvero imperfettibili.

Galleria fotografica






Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.









Questo Spaghetto ai ricci di mare è stato cucinato da Luca Fantin, chef trevisano del Bulgari di Tokyo, nel ristorante di Milano della medesima maison. La cena seguiva alla presentazione del suo libro, uscito per i tipi di Assouline.

Se Fantin cucina col 90% di ingredienti giapponesi, nel restante 10% di materie prime italiane, c’è spazio per la pasta (Felicetti). Solo che bisogna fare i conti coi gusti del Sol Levante: «Sette anni fa, appena aperto il ristorante, mi tornava indietro l’80% degli spaghetti: ‘troppo crudi’, protestavano i giapponesi. Ma erano semplicemente al dente. Ho capito che non potevo impormi con violenza. Ma al tempo stesso non volevo adottare solo pasta fresca nel menu, un genere più affine al loro gusto perché più morbido al palato».

La caponaggine ha dato vita a espedienti molto riusciti. Come quello messo in atto con questo spaghetto: stracotto per 3 minuti, è poi rinvenuto attraverso un rapido shock in acqua ghiacciata (a 4°C). La temperatura di servizio ridotta non ha scalfito la cremosita della pasta nè la sua succulenza. 









Il Risotto peperoni, alici, panna e caffè di Errico Recanati di Andreina a Loreto (Ancona). Un piatto servito scomposto che chiede allo stesso cliente di farsi la mantecatura al tavolo. Gioco a parte, è un primo che sintetizza perfettamente grassezza (la panna), dolcezza (i peperoni), amarezza (caffè) e umami (le alici). E' firmato da un cuoco molto in gamba, felice di sudare nell'ombra.









Merluzzo marinato nel miele di fiori d’arancio, timo e salvia, servito con capperi, cavolfiore e crema di mandorle e zucca gialla. Lo ha cucinato, rifinendolo al tavolo del cliente, Corrado Assenza del Caffé Sicilia di Noto (Ragusa) al ristorante Sturehof di Stoccolma, in occasione della Settimana della cucina italiana nel mondo, un mese fa. 

E' il grande nord (il merluzzo) che si addormenta, va alla deriva e si risveglia in un coloratissimo eden di effluvi e sapori mediterranei e siciliani. E' l'ennesima riprova che definire Assenza un pasticciere, seppure il più grande che ci sia in Italia, è riduttivo. 









La Testa di dotto grigliata che può capitare di trovare al Lido 84 di Gardone Riviera (Brescia). Riccardo Camanini ha la fortuna di conoscere due pescatori del golfo di Oristano che pescano in profondità, con le palamite. Quando va bene gli mandano questi dotti (stessa famiglia della cernia) di pezzature esagerate.

La testa del pesce - piuttosto grassa e ricca di carne nella guancia, nel sottogola e negli interstizi delle cervella - viene grigliata lentamente e servita intera al tavolo. Accanto c'è un piatto cosparso di colatura di alici, olio extravergine d'oliva, fegato disidratato dello stesso pesce e una grattata di limone e rafano. Intingerci i pezzi di dotto è un gesto arcaico che riconcilia col mondo.









Il Monte Bianco di Luca De Santi, pasticciere del Ratanà di Milano. C'è una parte ipertradizionale di chantilly e marron glaces, molto ricca. Ma anche una componente salata (i marroni sono saltati nel burro, nocciola e sale) e una acida (il limone che si trova nella meringa sbriciolata sopra, candito col sale). 

E' il meno "desantiano" di tutti i dolci-non-dolci che questo ragazzo vicentino propone nell'insegna di Cesare Battisti. Il dolce preferito di chi scrive, che da piccolo spendeva tutte le mancette in pasticceria per accapararsi fette di quel giunonico dessert.









La Torta di rose di Matias Perdomo del ristorante Contraste di Milano. La celebre tarte che richiama il bouquet di rose (il copyright è del francese Alain Passard) comincia a spopolare anche in Italia (la fa anche Camanini). Superburrosa (come dev'essere), l'uruguiaiano la serve accanto a una palla di gelato alla crema. Certe tradizioni paiono davvero imperfettibili.

Il 2016 finirà negli annali per un pranzo perfetto consumato da Mauro Uliassi a Senigallia (Ancona). Perfetto anche per le attenzioni riservate ai commensali più piccoli, troppo spesso ignorati dalla ristorazione (anche quella "altissima"). Il piatto nella foto? Purè di patate e cotoletta. Vassoio, piatti e bicchieri, carinissimi, sono di Felice... Mente

Galleria fotografica






Petto e coscia di quaglia rosolata in tegame all'italiana, funghi finferli, spinacio stufato e sugo piccante al finocchietto selvatico di Luigi Taglienti del ristorante Lume di Milano, una stella Michelin da poche settimane.

In un'epoca di inesorabile vegetarianizzazione dei menu, il cuoco savonese ha il coraggio di riporre al centro della tavola una quaglia già dall'antipasto. La mossa (peraltro la stessa del menu up&down Davide Scabin) è molto apprezzata intanto perché, in un menu degustazione, carne o "caccia" arrivano sempre in fondo a un percorso interminabile, la qual cosa ostacola spesso l'apprezzamento del main course che, appunto, dovrebbe essere la parte principale di un pasto, non un peso da sopportare.

La quaglia di Taglienti unisce rigore classico (la caille è uno dei grandi simboli dell'alta cucina francese, dagli albori alla nouvelle cuisine a oggi) e mestiere nostrano ("all'italiana" perché il cuoco ha fatto sua l'abitudine di cucocere la carne legata con lo spago in un pentolone unico, con tutti gli umori). E prepara il palato a tutta la grande selvaggina che tornerà alla grande anche nei secondi (ne abbiamo parlato pochi giorni fa). Buono, buono, buonissimo.









Questo Spaghetto ai ricci di mare è stato cucinato da Luca Fantin, chef trevisano del Bulgari di Tokyo, nel ristorante di Milano della medesima maison. La cena seguiva alla presentazione del suo libro, uscito per i tipi di Assouline.

Se Fantin cucina col 90% di ingredienti giapponesi, nel restante 10% di materie prime italiane, c’è spazio per la pasta (Felicetti). Solo che bisogna fare i conti coi gusti del Sol Levante: «Sette anni fa, appena aperto il ristorante, mi tornava indietro l’80% degli spaghetti: ‘troppo crudi’, protestavano i giapponesi. Ma erano semplicemente al dente. Ho capito che non potevo impormi con violenza. Ma al tempo stesso non volevo adottare solo pasta fresca nel menu, un genere più affine al loro gusto perché più morbido al palato».

La caponaggine ha dato vita a espedienti molto riusciti. Come quello messo in atto con questo spaghetto: stracotto per 3 minuti, è poi rinvenuto attraverso un rapido shock in acqua ghiacciata (a 4°C). La temperatura di servizio ridotta non ha scalfito la cremosita della pasta nè la sua succulenza. 









Il Risotto peperoni, alici, panna e caffè di Errico Recanati di Andreina a Loreto (Ancona). Un piatto servito scomposto che chiede allo stesso cliente di farsi la mantecatura al tavolo. Gioco a parte, è un primo che sintetizza perfettamente grassezza (la panna), dolcezza (i peperoni), amarezza (caffè) e umami (le alici). E' firmato da un cuoco molto in gamba, felice di sudare nell'ombra.









Merluzzo marinato nel miele di fiori d’arancio, timo e salvia, servito con capperi, cavolfiore e crema di mandorle e zucca gialla. Lo ha cucinato, rifinendolo al tavolo del cliente, Corrado Assenza del Caffé Sicilia di Noto (Ragusa) al ristorante Sturehof di Stoccolma, in occasione della Settimana della cucina italiana nel mondo, un mese fa. 

E' il grande nord (il merluzzo) che si addormenta, va alla deriva e si risveglia in un coloratissimo eden di effluvi e sapori mediterranei e siciliani. E' l'ennesima riprova che definire Assenza un pasticciere, seppure il più grande che ci sia in Italia, è riduttivo. 









La Testa di dotto grigliata che può capitare di trovare al Lido 84 di Gardone Riviera (Brescia). Riccardo Camanini ha la fortuna di conoscere due pescatori del golfo di Oristano che pescano in profondità, con le palamite. Quando va bene gli mandano questi dotti (stessa famiglia della cernia) di pezzature esagerate.

La testa del pesce - piuttosto grassa e ricca di carne nella guancia, nel sottogola e negli interstizi delle cervella - viene grigliata lentamente e servita intera al tavolo. Accanto c'è un piatto cosparso di colatura di alici, olio extravergine d'oliva, fegato disidratato dello stesso pesce e una grattata di limone e rafano. Intingerci i pezzi di dotto è un gesto arcaico che riconcilia col mondo.









Il Monte Bianco di Luca De Santi, pasticciere del Ratanà di Milano. C'è una parte ipertradizionale di chantilly e marron glaces, molto ricca. Ma anche una componente salata (i marroni sono saltati nel burro, nocciola e sale) e una acida (il limone che si trova nella meringa sbriciolata sopra, candito col sale). 

E' il meno "desantiano" di tutti i dolci-non-dolci che questo ragazzo vicentino propone nell'insegna di Cesare Battisti. Il dolce preferito di chi scrive, che da piccolo spendeva tutte le mancette in pasticceria per accapararsi fette di quel giunonico dessert.









La Torta di rose di Matias Perdomo del ristorante Contraste di Milano. La celebre tarte che richiama il bouquet di rose (il copyright è del francese Alain Passard) comincia a spopolare anche in Italia (la fa anche Camanini). Superburrosa (come dev'essere), l'uruguiaiano la serve accanto a una palla di gelato alla crema. Certe tradizioni paiono davvero imperfettibili.









Il 2016 finirà negli annali per un pranzo perfetto consumato da Mauro Uliassi a Senigallia (Ancona). Perfetto anche per le attenzioni riservate ai commensali più piccoli, troppo spesso ignorati dalla ristorazione (anche quella "altissima"). Il piatto nella foto? Purè di patate e cotoletta. Vassoio, piatti e bicchieri, carinissimi, sono di Felice... Mente. 

Ok, finito il menu degustazione, tutti a letto a rigirarsi sotto le coperte. Ma la mattina vorrete mica accontentarvi di cappuccio e brioches? Due colazioni rimarranno impresse nel mio 2016: quella da Casadonna a Castel di Sangro in Abruzzo (l'abbiamo sintetizzata tempo fa) e quella più recente alla Parolina di Acquapendente (Viterbo).

Nella tana laziale di Iside De Cesare e Romano Gordini funziona tutto al contrario: la colazione te la portano di default in camera; se vuoi farla nella sala del ristorante al piano di sotto, occorre specificarlo. Sul vassoio (nella foto), arriva una cascata di delizie dolci e salate: culatello di Spigaroli e Podere Cadassa, formaggi da latte vaccino (il nostro era a crosta fiorita di Chiodetti), pecorini di Pienza, mini-ciambelle tradizionali e al cacao, muffin, plumcake, croissant a lievitazione naturale, pane fatto in casa da lievito madre con farina ai cereali o bianco, spremute d'arancio, yogurt, marmellate d'arancia, more, prugne o frutti rossi, frutta di stagione, burro salato... Oltre la finestra, vallate a perdita d'occhio.


Zanattamente buono

Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo

a cura di

Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

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