24-11-2022

Grand'Italia al Basque Culinary Center: il centro di eccellenza gastronomica incorona i nostri campioni

Identità Golose a San Sebastian, un successo. Applausi per le lezioni di Antonia Klugmann, Andrea Tortora, Franco Pepe, Abou Zaki&Ferracuti, Gianluca Gorini, Fabio Pisani e Paulo Airaudo. Degustazioni by Ceretto e Appennino Food Group

Foto di gruppo per i protagonisti di

Foto di gruppo per i protagonisti di "L'Italia al Basque Culinary Center". Da sinistra Gianluca Gorini, Luigi Dattilo, Paolo Marchi, Antonia Klugmann, Joxe Mari Aizega, Paulo Airaudo, Andrea Tortora, Richard Abou Zaki, Fabio Pisani, Pierpaolo Ferracuti, Franco Pepe. Manca solo Federico Ceretto

«Mai prima di oggi abbiamo avuto qui una presenza così importante di rappresentanti della gastronomia italiana!». Applausi. Lo strano caso di John Regefalk: lui, svedese di un paesino vicino a Malmö, parla un (ottimo) italiano ma con evidente cadenza capitolina, retaggio della sua esperienza da sous chef di Roy Caceres al fu Metamorfosi di Roma. Ora è invece responsabile del settore Innovación Culinaria del Basque Culinary Center di San Sebastian, dunque la persona giusta, con Paolo Marchi, per introdurre "L'Italia al Basque Culinary Center", evento che si è tenuto ieri nel prestigioso centro di ricerca gastronomica basco. Un’idea nata a tavola, come ha ricordato qui il direttore del Basque, Joxe Mari Aizega. Di nuovo la parola a Regefalk: «L’Italia è un Paese complesso anche a tavola, ossia con tante differenze. I relatori ci trasmetteranno non solo la loro visione, ma anche queste mille sfaccettature del mangiarbene della Penisola: territorio e prodotto, tradizione e avanguardia». Marchi conferma: «Già. L’Italia è lungamente stata condannata a essere considerata solo la patria della pizza, della pasta, del risotto... Invece c’è molto di più, c’è tanta creatività. E siamo qui a dimostrarlo. Non è semplice: mediamente il turista straniero viene a Roma o a Venezia ed è così circondato dal bello che non bada molto a quel che mangia. Questo frena i nostri chef più talentuosi, che pure fanno un lavoro straordinario». Perciò è giusto dare loro spazio, come abbiamo fatto.

Eccovi una rapida rassegna degli interventi, di fronte agli studenti del Basque che prendevano appunti fitti fitti.

 

ANTONIA KLUGMANN

Antonia Klugmann e, sotto, lo gnocco di mais Biancoperla

Antonia Klugmann e, sotto, lo gnocco di mais Biancoperla

Territorio - Vita in movimento”, così si chiama il menu ampio che Antonia Klugmann propone al suo Argine, al confine con la Slovenia. Lei ricorda tale denominazione perché rappresentativa del suo stile in cucina, «significa per me cambiare ripetutamente nel corso della mia vita professionale, essere in continua evoluzione. Cercare stimoli nella relazione col prodotto, magari povero, semplice, locale. Se il prodotto è sempre quello, ciò che cambia è l'approccio del cuoco, così i piatti diventano come diapositive di sé in una determinata fase della propria e personale ricerca gastronomica». L’istantanea che la Klugmann propone al Basque Culinary Center è data da uno gnocco di mais Biancoperla che si rifà alla tradizione alimentare del Nordest, la polenta, ma diviene anche «simbolo di un percorso di comprensione dell’agricoltura», essenziale per uno chef contemporaneo. Ossia: «Sostenibilità è pure consapevolezza delle risorse idriche e del suolo, razionalizzazione degli sforzi in cucina in modo che non ci siano sprechi né di cibo né di energia nel lavoro della brigata... È un percorso pratico». Questo mais Biancoperla è coltivato a Polcenigo, vicino a Pordenone; «lì un caro amico per 4 anni ha selezionato semi in un certo terreno, il mais sa adattarsi. Non hanno ricevuto un grammo di acqua, pur nell’anno più caldo di tutti, quando molto prodotto d’agricoltura intensiva non ce l’ha fatta. Come possibile? Grazie al fatto che è stata rispettata la ricchezza del suolo con la rotazione e sono stati selezionati semi adatti al clima. È questo il compito del cuoco, là dove sappiamo che andremo incontro a una scarsità perenne: tecnica, istinto, sensibilità. Non è solo valorizzare la biodiversità ma anche scegliere di usare piante che hanno sviluppato caratteristiche specifiche per un determinato terreno». Ma perché questo gnocco è "diverso"? È realizzato con una farina di polenta di mais Biancoperla e viene accompagnato da un brodo di mais fresco e una purea di mais. Piastrato sulla ghisa, si caramellizza un poco. Viene condito con olio al ginepro e Parmigiano Reggiano, «il primo perché ci regala un’aromaticità pura. Poi acqua di Parmigiano (estratta frullando il formaggio a freddo, «nessuna cottura, il cuoco fa un passo indietro per rispetto di questo eccezionale prodotto») a glassare lo gnocco, infine cosparso di glucosio in polvere e passato al cannello. Secondo piatto, una pasta: la chef usa il formato capellino, sottile sottile, che cuoce in un brodo ottenuto dai cardi «del mio orto, belli amari» (infusione? Marinatura? Sottovuoto? No: pulire dalle foglie esterne, mettere in casseruola con olio e odori, stufare a fiamma alta, aggiungere acqua, far andare per un quarto d’ora). Poi purea di olive verdi di Castelvetrano, «straordinaria, complessissima, amara, acida, lunga»; acqua di liquirizia; yogurt bello grasso.

 

ANDREA TORTORA

Andrea Tortora

Andrea Tortora

Persone, volti, tempo. Andrea Tortora si racconta attraverso queste parole, e anche altre, lui che ha progettato (e poi realizzato) il suo percorso di crescita professionale intendendolo come un viaggio, basandosi su ulteriori concetti quali l'incontro, il confronto e la libertà. Al Basque Culinary Center parla dell’arte dolce italiana, Tortora; e parla del panettone, «il prodotto dolciario più conosciuto e imitato al mondo. Richiede conoscenza, tempo, tecnologia, ricerca di materia prima». Oggi nel suo At Patissier ne realizza 50mila pezzi: all’anno? No, in due mesi, solo novembre e dicembre, «la mia idea è di non stoccare mai nulla, di vendere sempre una bontà appena realizzata». E poi: «Per me il prodotto perfetto è quando non c’è più nulla da togliere, lavoro per sottrazione continua». Metodo di lavoro: «Prendo tutta la tecnica, l’immediatezza, il rigore di una brigata di cucina e li porto in pasticceria. I cuochi sono 100 anni avanti rispetto a noi pasticceri». Passa in rassegna le sue creazioni: «Abbiamo dato nuova veste alla torta di pane, un piatto povero». Che poi, paradosso: «Tutti a parlare di come riutilizzare gli avanzi. Ma non sarebbe più logico e utile produrre di meno, per poi non trovarseli lì e arrovellarsi su come utilizzarli?». At Patissier lavora praticamente solo su commissione. Nel senso: «Produrremo i panettoni che abbiamo già venduto, da agosto. Così abbiamo anche la liquidità certa per pagare dipendenti, fornitori e per poter crescere». Una logica di… rallentamento dei ritmi che non è tirare i remi in barca, Tortora è infatti attivissimo sul fronte innovazione, «abbiamo ideato un panettone senza burro, buonissimo, usiamo olio d’oliva con perossidi molto bassi». E con uno sguardo sempre attento a quel che succede oltre l’uscio: «La contaminazione è importante, ci fa guardare le cose con occhi diversi. Anni fa ero a Singapore, sfornai una magnifica pagnotta, bella croccante. Arrivò un mio allievo asiatico e mi disse: “Ma dove abbiamo sbagliato?”. Capii solo dopo un po’: per loro pane è lo sponge bread, morbido, la croccantezza è invece un problema, un errore». Ultimo consiglio agli alunni del Basque: «Non ricercate la perfezione, non ha senso, nutre solo il vostro ego. Meglio la semplicità, che fa sorprendere il commensale e lo rende felice». Senza stress.

 

FEDERICO CERETTO

La lezione-degustazione di Federico Ceretto

La lezione-degustazione di Federico Ceretto

Due grandi partner italiani hanno accompagnato Identità Golose nella trasferta di San Sebastian, entrambi sono stati protagonisti di degustazioni nella sala auditorium, gli studenti del Basque a immergersi nella straordinaria realtà di prodotto di cui è capace la nostra Penisola. Spazio per primo a Ceretto Aziende Vitivinicole, dalle Langhe ecco il palcoscenico per Federico Ceretto. Racconta come la sua terra sia la zona vitivinicola più visitata d'Europa, «ma il valore e la qualità degli ospiti che vengono da noi deriva anche dal fatto che la nostra cultura gastronomica, la nostra ristorazione, i nostri chef sono di altissimo livello», lui ne sa qualcosa, la sua famiglia ha dato vita al Piazza Duomo. Ceretto ci fa immergere nella sua realtà e propone due assaggi. Il primo è di Ceretto Langhe Arneis Blangé 2021, «io non posso fare sperimentazione sul Barolo, esiste da... venticinque generazioni? Trenta? Cinquanta? Ha una sua storia ben precisa, ogni generazione ha aggiunto un piccolo pezzo per arrivare al massimo possibile». Sui bianchi invece c'era campo libero: ecco la scelta di puntare sull'Arneis, vitigno autoctono, «è stata una piccola rivoluzione, un vino che prima non esisteva. È stato molto apprezzato». Infine spazio invece a sua maestà: Ceretto Barolo 2018 Docg, inutile dir altro. Annotazione finale: «Sono orgoglioso di aver accompagnato Identità in questa trasferta. Il confronto tra la grandissima artigianalità italiana e lo studio gastronomico del Basque è davvero straordinario».

 

FRANCO PEPE

Franco Pepe e, sotto, la pizza Acquerello Capriccioso

Franco Pepe e, sotto, la pizza Acquerello Capriccioso

«Fare cose nuove sulla pizza è estremamente difficile, Franco ci è riuscito», dice Paolo Marchi. Pepe sale sul palco sorridente e lancia una (sacrosanta) frecciatina, «venti anni fa non avrei mai pensato di poter entrare in una scuola di formazione come questa. In Italia stiamo ancora aspettando che formino noi pizzaioli, forse per questo c’è tanta litigiosità, perché c’è mancanza di saperi», lui è un gentleman, noi traduciamo: troppi ignoranti e presuntuosi. Pepe in Grani è più avanti, «lavoriamo da sempre sulla formazione e sull’accoglienza. Una volta l’identità di una pizzeria era concentrata sul pizzaiolo. Io invece ho creato un grande team, con me in trasferta qui in Spagna ha saputo soddisfare 350 persone, ieri sera al Pepe in Grani, perché l’identità è ormai nel piatto», ossia nella pizza. A Caiazzo ci sono chef, banchisti, fornai, passisti… Tutta una squadra che sa cosa fare, mentre Pepe elabora idee, «non si può sempre rimanere fermi alla sola tradizione. Io ho messo in discussione il lavoro di mio padre e mio figlio dovrà farlo col mio. Altrimenti non si cresce, non ci si evolve». L’idea di base è comunque: la pizza come prodotto popolare «e deve rimanere tale. Ma poi vado a lavorare su alcune tecniche di trasformazione della materia prima e questo mi consente di fare passi in avanti», pensiamo alla Margherita sbagliata, che esalta il pomodoro, posto a fine cottura per valorizzarne l’eccellenza. «Toccare la Margherita in Campania è stato complicato. Ma oggi tanti pizzaioli da tutto il mondo mi scrivono dicendomi che si sono ispirati a me per una loro creazione». Ne propone un’altra che farà discutere: una Capricciosa 2.0, l’ha chiamata Acquerello Capriccioso: «Ci sono pizze che vengono dimenticate. La Capricciosa negli anni ‘70 e ‘80 era molto richiesta, veniva condita con tutto quello che il pizzaiolo aveva sul banco», l’abbondanza a discapito della qualità; un sacco di elementi troppo umidi tutti insieme; un mappazzone direbbe qualcuno. Ed ecco allora la versione di Pepe, ingentilita: «Lavoro in cucina i vari elementi e poi li pongo sulla pizza in modo che siano equilibrati», olive nere caiazzane disidratate, idem i capperi, il pomodoro diventa una sfoglia al silpat, quindi salsa di basilico, funghi in tempura, non acciughe ma colatura di alici... Il resto lo fa il cliente: Pepe gli porta la base, poi sarà lui a condire a piacimento, per completare l’opera.

 

RICHARD ABOU ZAKI e PIERPAOLO FERRACUTI

Pierpaolo Ferracuti, Richard Abou Zaki e, sotto, il Riso Adriatico

Pierpaolo Ferracuti, Richard Abou Zaki e, sotto, il Riso Adriatico

Da un grande maestro a due giovani talenti, perché la delegazione italiana al Basque Culinary Center è composita e completa. Richard Abou Zaki (di più, è un mattatore) e Pierpaolo Ferracuti (di meno: è timido) raccontano di come il loro lavoro si basi sulla concentrazione del gusto, sulla ricerca, sullo studio, sulla sperimentazione, senza mai tralasciare l’aspetto emozionale «che può venire da un lontano ricordo o comunque da quanto già conosciamo e che può essere trasmesso attraverso la tecnica». La loro lezione è sul risotto, anzi sul riso (un Vialone Nano del Delta del Po «lasciato essiccare, rilascia l’amido, il chicco è bombato, assicura un bel dente») declinato in tre piatti, sempre con brodi nei quali il cereale è risottato. Il primo è il Riso Adriatico, ormai un signature dish, «ci piace l’idea che attraverso un boccone il commensale capisce che è una nostra creazione»; valorizza un prodotto del territorio, «lì vicino a Porto San Giorgio c’è Ascoli, dove una specialità è l’oliva ripiena – spiega Marchi al pubblico spagnolo - Sono olive locali, varietà Tenera di Ascoli, grandi, danno poco olio ma hanno molta polpa, quindi diventano perfette per un piatto come questo». Abou Zaki: «Sono molto croccanti, amare, con una bellissima aromaticità balsamica. Mi piacciono quando sono ancora acerbe, ricordano le foglie di pomodoro o di fico». I due prendono delle olive in salamoia “classica” cui aggiungono un 10% di olive in salamoia naturale, la definiscono “ancestrale”, ossia senza utilizzo di soda, servono dai 9 ai 12 mesi per renderle commestibili. «Estraiamo a freddo, aggiungiamo una punta di distillato di pomodoro, brodo di rombo per il collagene che fornisce la componente che si direbbe grassa ma non è, non c'è burro e non ci sono nemmeno soffritto o brodi caldi («Solo gelidi, per mantenere il sapore essenziale, nitido, puro»). Sul fondo, della ricciola come fosse una sorpresa: il piatto è pronto. Il secondo riso è alla pesca fermentata (3,1% di sale per fermentare, «è tanto ma il frutto è pieno di zuccheri, rimane 21 giorni a temperatura controllata di 18-20°, perde la parte dolce, se ne ricava un’estrazione, rimane l’intensità della pesca, c’è punta di mela verde per dare freschezza»). Alla base dei ricci di mare, «note amare che vanno a contrasto con quelle acide e dolci», quindi il riso alla pesca, poi pasta di arancia bruciata per la parte agrumata e tostata e una punta di olio al peperoncino per dare oscillazione al palato. Infine, un riso dolce, all’alkermes (una soluzione di acqua e alkermes di Paolo Brunelli, poco alcolico) con angostura, una noce di burro alla vaniglia, alla base una riduzione di chinotto, bergamotto e cedro: il ricordo di una zuppa inglese. «È incredibile la concentrazione di sapore che questi brodi riescono a sprigionare una volta che sono assorbiti dal riso e che ne ricevono l’amido, diventando cremosi».

 

LUIGI DATTILO

Luigi Dattilo (a sinistra, con Joxe Mari Aizega) e i tartufi di Appennino Food Group

Luigi Dattilo (a sinistra, con Joxe Mari Aizega) e i tartufi di Appennino Food Group

Dopo Ceretto, un altro grande partner per "L'Italia al Basque Culinary Center". Si tratta di Appennino Food Group, sul palco il suo fondatore Luigi Dattilo che è una garanzia: dove c'è lui, c'è grande tartufo, insieme a una competenza profonda e appassionata nel saperlo raccontare. «Lui ha sviluppato il concetto che non esiste solo il tartufo bianco d'Alba, ma puoi disporre di ottime qualità, emozionanti e perfette per innumerevoli abbinamenti, durante tutto il corso dell'anno», introduce Paolo Marchi. Spiega Dattilo: «Da un paio d'anni stiamo portando avanti un progetto importante, ossia affiancare gli chef che hanno voglia di sapere di più sul mondo del prezioso fungo ipogeo». Nel mondo esistono circa 100 varietà di tartufo, «la sua funzione è quella di assorbire sali minerali che vadano a nutrire una pianta in difficoltà, ottenendo in cambio zuccheri». meraviglioso rapporto di simbiosi e di complicità, «la stessa che il tartufo può trovare con gli ingredienti in cucina». Tutti parlano di tartufo bianco «perché è un prodotto semplice, di facile utilizzo, basta affettarlo su una base grassa che ne accompagni le note aromatiche». Però «dal mio punto di vista c'è ben altro da scoprire. Ad esempio, nel prossimo mese di dicembre sono disponibili ben cinque tipologie diverse di tartufo fresco», lui ne conosce a menadito tutte le caratteristiche. Ultima sottolineatura: l'Italia è l'unico Paese che detiene tutte le sei specie di tartufo nel mondo che sono utilizzabili in cucina. C'è da sbizzarrirsi.  

 

GIANLUCA GORINI

Gianluca Gorini e, sotto, i suoi ravioli allo scalogno liquido

Gianluca Gorini e, sotto, i suoi ravioli allo scalogno liquido

Emozionato ed emozionante, Gianluca Gorini inizia da un ricordo: «Venivo qui a San Sebastian tanti anni fa, giovanissimo, per assistere a Lo Mejor de la Gastronomia. Vedevo i grandi chef sul palco... Ora mi trovo io a tenere una lezione, auguro allora ai ragazzi del Basque di raggiungere i loro traguardi. Dico: se avranno costanza e voglia, riusciranno a raggiungerli». Parte poi il racconto, che è un’immersione nell’Italia goriniana: «A Bagno di Romagna, il mio paese, i tempi sono scanditi dai ritmi della natura, delle stagioni. È un luogo che trasuda autenticità e ospitalità», lo chef ne è innamorato. E autenticità esprime anche il suo DaGorini, «voglio che i miei ospiti innanzitutto possano stare bene, non solo gustare buoni piatti. È questa l’anima italiana, il nostro vanto: il ristorante come luogo di convivialità, di scambio, di incontro, dove stare con gli affetti, con le persone alle quali si è legati. Sara (la compagna di Gorini, ndr) nel 2017 ha avuto la forza di portarmi lì, ossia verso qualcosa di vero. Ne sono felice. Questo luogo rappresenta il nostro legame, la nostra casa. È stata la scelta più giusta perché bisogna essere sempre fedeli e coerenti con sé stessi». Bagno di Romagna lo consente, «offre una biodiversità straordinaria: selvaggina, erbe, bacche, funghi, tartufi. Mi vanto di aver costruito una piccola rete di fornitori e raccoglitori locali, è bellissimo quando un contadino bussa alla porta per portarci due conigli: significa aver creato legami semplici, stretti, che tutelano e preservano le conoscenze delle persone. Ogni tanto qualcuno mi chiede: “Ma perché sei venuto a Bagno?”. Poi osserva: “Certo, qui è bellissimo!”. E non si rende conto che si è già dato la risposta». Lo chef propone un piatto a base di pasta fresca, «la Romagna è terra di sfoglie e mattarello»: un raviolo ripieno di scalogno liquido e accompagnato da cicoria passita, «amara», e formaggio di capra fresco, «dalla spiccata acidità». Lo scalogno di Romagna Igp viene posto sottovuoto per due ore a 80°, poi passato al greenstar per estrarne i liquidi senza ossidazione, se ne ottiene un succo che viene addensato con agar agar, Gorini ne ricava dei dischi solidi che fungono da ripieno dei ravioli. Il resto va da sé. «È un piatto di personalità, persistenza, intensità gustativa. I clienti lo leggono sul menu e magari non lo ordinano, sembra troppo semplice. Allora io lo inserisco nel degustazione, lo assaggiano e poi son tutti lì a farmi i complimenti». Un ultimo pensiero: «La materia prima mi dà energia, ciò che mi circonda è nutrimento e ispirazione per la mia creatività».

 

FABIO PISANI

Fabio Pisani e, sotto, il suo carpione contemporaneo

Fabio Pisani e, sotto, il suo carpione contemporaneo

Poco da dire, Il Luogo è un faro del buono italiano da sessant'anni, «lì si va per mangiare tricolore, la freschezza e l’eccellenza della materia prima», spiega Paolo Marchi introducendo la penultima lezione, quella che ha visto protagonista uno dei due chef che di Aimo e Nadia Moroni han raccolto l'eredità proiettandola nel futuro, il pugliese Fabio Pisani. Il quale non delude le aspettative (alla fine della sua lezione Aizega era entusiasta) e racconta come, nel lavoro ormai consolidato di selezione delle eccellenze italiane che caratterizza da sempre il ristorante di via Montecuccoli, lui col collega Alessandro Negrini ha introdotto un ulteriore step: «Siamo riusciti a fare una cosa molto bella e che condivido volentieri con voi». Si tratta del progetto Territori, «il modo per sviluppare ulteriormente l'identità del Luogo in un'evoluzione basata sulla storia». Territori significa la salvaguardia della materia prima e la creazione di una connessione continua tra cuoco e fornitore, «valorizzare gli ingredienti con l'intento concreto e sostenibile di riscoprire, recuperare e promuovere le eccellenze italiane quali colture, allevamenti, prodotti, storia e tecniche per dar vita a creazioni uniche di piatti o di esperienze da degustare». In sostanza si crea un asse tra Negrini-Pisani e i piccoli produttori del mangiarbene aderenti al progetto: interagiscono tra di loro, gli uni regalano spunti, creatività e uno sbocco di mercato agli altri, questi ultimi forniscono invece le eccellenze golose. Per ora hanno aderito in sei, da tutt'Italia, «noi ci mettiamo la firma, rendiamo il prodotto unico. Come il nostro lardo di Colonnata», cui gli chef regalano un'aromaticità particolare, con note di limone. «Selezioniamo con metodo e sulla base di un codice etico, si crea bellissima sinergia», all'insegna di un motto: conoscenza per fare avanguardia. Pisani presenta poi un piatto, una sorta di carpione contemporaneizzato: sotto forma di gel, va in planetaria e si crea un’emulsione, una nuvola sulla quale lo chef appoggia un’alice marinata di Camogli ripiena di pesto con noci trentine del Bleggio, «piccole, dal sapore esplosivo». Poi finocchietto toscano con farina di ceci delle Murge, «ci facciamo una cecina che friggiamo per dare croccantezza». Si completa con il lardo del Luogo pestato nel mortaio, con un lampascione lavorato con aceto di lampone e miele e con limone candito per la parte agrumata. Il giro d'Italia è servito. «La memoria ti porta all’emozione. È la strada che intendiamo continuare a battere».

 

PAULO AIRAUDO

Paulo Airaudo

Paulo Airaudo

Gran finale con un italiano... particolare. Si tratta di Paulo Airaudo, argentino di discendenze piemontesi e siciliane, stelle e ristoranti sparsi in giro per il mondo (Marchi: «Il suo sogno è aprirne uno a Firenze», ci sta lavorando, non dovrebbe mancare moltissimo) con il quartier generale all'Amelia di San Sebastian. Paulo arriva trafelato al Basque direttamente da Toledo, ha appena ricevuto un altro macaron, per il suo Aleia di Barcellona. Non c'è stato tempo per predisporre un cooking show con presentazione di un piatto, ma il suo intervento è comunque pregnante. Tema: "L'avanguardia e la falsa tradizione italiana nel mondo". Spiega: «Sono in Europa da dieci anni, vengo spesso in Italia che sento come fosse casa mia. Amo la vostra cucina e la propongo in modo fedele, ma nel contempo secondo un mio punto di vista personale, ovviamente», si tratta di una sorta «di "omakase tricolore", diciamo così». Il punto centrale è il rispetto della stagionalità, «anzi delle microstagionalità. Prendersi cura di prodotti eccezionali e preservarli. Parlo di omakase perché ho trovato un legame davvero molto stretto tra la cultura gastronomica italiana e quella giapponese, entrambe basate sul rispetto della materia prima, sui dettagli». All'Amelia «c'è sempre un crudo di pesce, c'è sempre una zuppa, c'è sempre una pasta (abbiamo ricette per nove tipi di paste ripiene), c'è sempre la griglia d'ispirazione toscana e che poi riprende anche il mio essere argentino». Insomma una tavola autentica, seppur originale, non come tanti fake sparsi per il mondo, «alle volte incontriamo dei problemi grossi. Mi dicono: "Perché non usi olio extravergine spagnolo?". Perché non mi piace, io me lo faccio arrivare dalla Toscana, acquistiamo il meglio del meglio. Qualcun altro si lamenta che spaghetti o riso son troppo al dente. Ma io sono una testa dura e non defletto». Si deve poter mangiare italiano autentico anche lontano dalla Penisola. Ultima riflessione: «Si dice spesso in questi mesi: la cucina cambierà volto. Per me no, semplicemente si modificherà come ha sempre fatto. Io ho un punto fermo: tutti i miei capipartita sono italiani. Perché? Perché sono i migliori, e mi spiace se qualcuno si offende».


Dal Mondo

Recensioni, segnalazioni e tendenze dai quattro angoli del pianeta, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera

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