20-07-2022

L'uomo controlla e trasforma la materia "ascoltando" la sua identità: la lezione di Jeong Kwan ad Alma

Da un convento in Sud-Corea alle aule della scuola internazionale di cucina italiana: la monaca protagonista di un episodio di Chef's Table illumina, affascina ed educa alla gratitudine

La monaca Jeong Kwan durante la sua lezione ad Alm

La monaca Jeong Kwan durante la sua lezione ad Alma - La scuola internazionale della cucina italiana, a Colorno (Parma) lo scorso 18 luglio. Foto di Marialuisa Iannuzzi

Dove siamo, di cosa siamo fatti, come viviamo, cosa contraddistingue un essere vivente da un essere umano. Sono pensieri che attraversano quotidianamente la mente di Jeong Kwan, la monaca sud-coreana e praticante della Via per raggiungere la libertà spirituale e corporea. No, non è una chef pluristellata e neanche una cuoca: in questo senso, è “solo” una monaca che prepara i pasti ddel Convento in cui vive.

Appartata dalla mondanità, ma non dal mondo; sconnessa dagli impulsi artificiali, ma profondamente ancorata ai moti della Natura, persino alla stasi. Non è avversa nei confronti di ciò che accade al di fuori del monastero, tanto che ben lieta accetta di allontanarsi, ma solo se legge nell’allontanamento stesso la possibilità di diffondere la cultura della cucina templare che è la fonte della cucina coreana delle origini, insomma, se avverte di poter creare attraverso il cibo un legame, un gancio per connettersi agli altri e trasferire la propria energia nel corpo altrui e, alla fine, nello spirito.

Tutto questo è realmente accaduto in un pomeriggio di mezza estate non in Corea, tantomeno in un remoto villaggio del nostro pianeta, ma qui, in Italia, nella reggia di Colorno (Parma), sede dell’Alma, la scuola internazionale di cucina italiana, tappa iniziale di un ricco programma che si districa tra Parma, Milano e Roma grazie al prezioso lavoro dall’Istituto Coreano Italiano. Una lezione, una compartecipazione di saperi, dell’esperienza spirituale di Jeong e dei suoi sensi, profondamente connessi alla sua anima: un incontro unico di densa emozione, cultura, energia che la cucina è in grado di generare.

Ma partiamo dalle origini: Jeong Kwan, (a cui è dedicato un episodio della terza stagione della produzione Netflix, Chef’s Table) perde la mamma quando era poco più che un'adolescente e riconosce nel dolore che prova la certezza che mai avrebbe voluto infliggere a un figlio o a chiunque la ami una pari sofferenza. In quel frangente di vita decide di lasciare tutto, soprattutto di lasciare suo padre che aveva altri progetti per lei: Jeong parte e per un po' sparisce. Si rifugia in un convento, si rasa il capo e si impegna a condurre una vita monastica, così temuta dal padre, proprio per l'apsrezza contemplata. Ma tale supposizione, Jeong la demolisce quotidianamente. E non perché quell’austerità non sussista, ma per la scoperta che si rinnova seppure in una vita di ripetizioni: «Anche in una ciclicità perpetua, tentiamo di innovarci ogni giorno perchè la Natura ce lo permette». Quindi, sveglia alle sei del mattino, meditazione, preparazione e condivisione del pasto, il lavoro nei campi. Nel mezzo, la Natura che "funziona" sulla base di 4 elementi, tutti interconnessi tra loro: il sole, la terra, l’acqua e il vento. È per mezzo di questi, della loro armonia che l’intero universo sussiste.

Jeong Kwan in uno scatto a cura di Cultural Corps of Korean Buddhism

Jeong Kwan in uno scatto a cura di Cultural Corps of Korean Buddhism

Pensiamo a una pianta: le radici affondano nel terreno, l’acqua e il sole la nutrono, il vento la sposta per rafforzarla. Primo esempio di essere vivente. Poi c'è il mondo animale: l’animale si muove, l’animale ha istinto, ma nonostante tutto non la medesima capacità dell'uomo di determinare con il proprio intelletto, una scelta, un effetto sugli altri esseri viventi. E arriviamo all’uomo: ha un aspetto, una capacità sensoriale che coopera con l'anima, creando un complesso unico che modella l’identità. L'uomo è in grado di progredire, di esercitare la propria volontà sulla materia. Afferriamo così la chiave di lettura, l’approccio di Jeong alla cucina: «A seconda di ciò che vedo, a seconda della mia energia, scelgo come trasformare (o meno - soprattutto in primavera quando la natura è perfetta così com’è) un ingrediente, senza soffocare la "volontà" di quest’ultimo ma, controllandola affinchè non interferisca con la meditazione».

Ma cosa è interdetto dalla dieta monastica?

Innanzitutto i cibi animali tranne alcuni lattici, oltre che gli Osinchae, quindi aglio, allim tuberosum, cipollotto, erba cipollina e assafetida. Quella templare è una cucina che non insegue il godimento sensoriale (eppure lo fornisce a ritmi più lenti); ha la priorità di fornire energia sufficiente al proprio corpo per meditare e praticare la Via, senza mai cercare lontano ciò di cui si compone e disponendo di quel che la Natura offre stagionalmente. È sintonia con gli ingredienti.

Ed è parlando di ingredienti che ci accorgiamo, ascoltando Jeong, di come i confini tra Italia e Corea in cucina non sono poi così spessi: da un lato, l'aceto balsamico di Modena, dall'altro la salsa di soia. «La prima volta che venni in Italia, nel 2013, iniziai il mio viaggio a Modena. Visitai un’acetaia e lì ebbi occasione di assaggiare un aceto balsamico invecchiato 50 anni. Come per la salsa di soia, dopo una lunga fermentazione, mi resi conto che anche per l'aceto non rimane che l’essenza e che il risultato dell’attesa è l’energia della materia prima». Estrazioni di bacche, masse di tofu lavorate a mano, massaggiate con forza e rispetto per trasferire energia, per osmosi, al cibo: la cucina di Jeong rompe i legami preesistenti per crearne nuovi e autentici, per lasciare spazio al cuore; è una forma di cooperazione tra chi prepara e la materia; tra chi prepara e chi è destinato a ricevere quel vigore manuale ed emotivo. Proprio come accadde al padre di Jeong nel corso di una sua visita al Monastero: «Per mio padre era impensabile che in convento non mangiassi carne e quando si ritrovò a passare due settimane con me, le provava tutte per convincermi a tornare a casa e andare a mangiare insieme qualcosa di sostazioso. Fu allora che decisi di preparargli il mio brasato di funghi pyogo, di shitake cotti in una grande pentola di ghisa come vuole la tradizione. Ho conservato la loro acqua, acqua di fiume bollita e densa dei loro umori, assorbita dalla loro testura carnosa assieme all’olio di semi di perilla (molto più intensi dei semi di sesamo), lo sciroppo di riso e quello di schisadra, la mora selvatica. Preparai quei funghi in un mix di rabbia e senso di sfida, ma presto giunse la redenzione e giunse per entrambi. Quando mio padre assaggiò i funghi, sorrise. Molto delicatamente, ma sorrise. Si diresse dalla Madre Monaca, felice, e rassicurato, mi affidò per sempre alla vita in Convento, chiedendo che crescessi spiritualmente.  Una settimana dopo morì in pace e il cibo aveva creato una relazione, un nuovo equilibrio, la pace: una rinascita».

Funghi Pyogo brasati in sciroppo di riso: una delle ricette presentate nel corso della lezione. Foto a cura di Cultural Corps of Korean Buddhism

Funghi Pyogo brasati in sciroppo di riso: una delle ricette presentate nel corso della lezione. Foto a cura di Cultural Corps of Korean Buddhism

Nel corso della sua lezione all'Alma, Jeong Kwan ha illustrato alcune preparazioni, quelle ricette che prepara al convento per chiunque passi a trovarla e per coloro che vivono al suo fianco. Ha spiegato i fondamentali della cucina templare, della cucina coreana antica che influenza la più attuale e contemporanea. Ha condiviso le sue preoccuazioni perun mondo ferito dalla pandemia e dall'effetto di scelte sbagliate sulla Natura, il dramma del cambiamento climatico. Più di tutto, Jeong Kwan ha trasmesso il valore della cooperazione tra uomo e materia che, insieme, creano un vincolo. E il cibo, trasformato, esprime l’identità di chi lo prepara, di chi ha scelto di servire gli esseri viventi e consola, rallegra l’essere umano. Jeong Kwan ha instillato in chi ascolta il germe della gratitudine, così scontato, soprattutto a tavola e tra chi vive nell'abbondanza; una gratitudine che presuppone l’attesa e una presa di coscienza della materia e della persona, prima di assimilare il risultato. Mangiando, mangiamo l’energia delle mani, la vista, il naso, l’udito di Jeong, ma anche il suo cuore, la sua anima, la sua identità. La materia entra, circola dentro di noi. Chiudiamo gli occhi, inspiriamo ed espiriamo prendendoci i nostri tempi: solo così è possibile comprendere in che direzione questa nuova energia va depositandosi dentro di noi. «Sentite la pace? Il cibo dà pace e rende felici».

Se solo lo assimilassimo con una tale consapevolezza ogni giorno eviteremmo sprechi e lo apprezzeremmo ancora di più.  Afferrando del nuovo anche in una preparazione, in un sapore che si ripete perpetuo.


Dal Mondo

Recensioni, segnalazioni e tendenze dai quattro angoli del pianeta, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Marialuisa Iannuzzi

Classe 1991. Irpina. Si laurea in Lingue e poi in Studi Internazionali, ma segue il cuore e nella New Forest (Regno Unito) nasce il suo amore per l'hospitality. Quello per il cibo era acceso da sempre.  Dopo aver curato l'accoglienza di Identità Golose Milano, oggi è narratrice di sapori per Identità Golose. Isa viaggia, assaggia. Tiene vive le sue sensazioni attraverso le parole.

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