Immorale, come le ricette immorali di Montalbán, è il nome del progetto del patròn Luca Leone Zampa. Bistrot da una parte, in via Lecco, e ristorante fine dining da Immorale Osè, in via Tadino - meglio specificare. Niente insegna, un campanello, una sala bianca che assomiglia più a una galleria d’arte, con tanto di opere alle pareti. Tappeti, arredo vintage, tavoli vestiti e una cantina a vista, di soli vini naturali. Nulla di scabroso o provocatorio, a parte una luce rossa all’ingresso, come il nome vorrebbe dimostrare, ma differente dalla (solita) morale dell’estetica dell'alta ristorazione, elegante, formale, borghese: questo è fine dining a misura di Millennials, anzi, di Gen Z.
Amante dell’arte, Luca ha cercato un nuovo linguaggio, un’iconografia non scontata che strizza l’occhio all’erotismo ma parla di piacere e dell’obiettivo ultimo del cibo: farti godere. In cucina (minuscola) sono in due (lo chef è Paolo Piunti, ex Sadler e Al Mercato) e la cucina è italiana, contemporanea, per nulla eccentrica: Gnocchi alla paprika affumicata e burro all’aglio nero, e poi brace, kimchi, kefir…
Ma poi ci sono i piatti Vintage, che identificano i classici come il Wellington con purè, il capriolo alla Voronoff: c'è spazio quindi per ogni perversione culinaria. Il servizio (di Marco Zanichelli, ex Cuore, ex Trippa) è informale, attento, contento, pure quello gestito con Daniele Canonico ai vini. Per citare Montalbàn, «Mangiare bene, e bere ancor meglio, rilassa gli sfinteri dell’anima». Se invece non ci si vuole rilassare, meglio andare altrove.
giornalista, milanese, pessima cuoca. Scrive di usi&costumi, di cibo per parlare d’altro, di cose futili in modo serissimo - e viceversa. Firma de La Cucina Italiana, Vanityfair e Marie Claire Maison, lavora come curatore e consulente freelance per editori, agenzie di comunicazione e aziende
+393479572088
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