Biodiversità con pochi paragoni, sapori espliciti, argento vivo dei suoi giovani protagonisti (alle prese a lungo con una maledetta guerra, terminata solo nel 2016, e per questo ancora più smaniosi): che quella colombiana sia una delle cucine del futuro è convinzione che abbiamo trasmesso a più riprese su queste e-pagine. Non è un caso che proprio Milano, una spugna di tutte le tendenze gastro-internazionali che si agitano fuori dai nostri confini, abbia accolto, nel novembre del 2021, la prima insegna colombiana.
La firma, duplice, è di rilievo: da un lato c’è il proprietario, Ivan Ramiro Cordoba, eroe dei due mondi per i successi dell’Inter del Triplete e perché il 29 luglio 2001 segnò il gol decisivo nella finale della Copa America, regalando al suo paese il primo (e unico) trofeo continentale. Portava sulle spalle il numero 2 di Andrés Escobar, il difensore ucciso per un autogol ai Mondiali del 1994. Solo per questo motivo, il cuoco di Mitù, Alvaro Clavijo, un altro idolo del suo paese, ha deciso di accettare una consulenza lontana da Bogotà.
Ogni tot, il cuoco del El Chato sbarca qui in Porta Venezia per assicurarsi che vada tutto bene. Ma problemi non ve n’è perché in cucina c’è Josè Narbona Rodriguez, fior di professionista spagnolo. Penserà lui a orchestrare i meglio sapori del paese a ridosso dell’Equatore: Granadilla, leche de tigre e anacardi e l’Ajiaco, una zuppa di pollo e patate che invocheremmo nei momenti più bui. In sala c’è Andrea Beccaceci, anfitrione di lungo corso a casa nostra, bravissimo a tradurre mondi lontanissimi.
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laurea in Filosofia, coordina i contenuti della Guida ai Ristoranti di Identità Golose, collabora con varie testate e tiene lezioni di gastronomia presso scuole e università. Co-autore di "Cucina Milanese Contemporanea" (Guido Tommasi editore, 2020)
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