Parla poco ed è molto bravo, Giacomo Lovato, quasi un lusso per Milano, nel senso che questa città risulta avara nei confronti degli chef giovani e in ascesa, in genere consente solo progetti già ben consolidati, di nomi famosi. Merito allora di Edoardo Borgia di aver scelto per il suo ristorante - il Borgia, appunto - questo chef classe 1990, varesino di Casciago, pelo chiaro quanto le idee che ha in testa. Non uno che, approdato sotto la Madonnina, si senta già "arrivato", anzi: prima, quando era allo Snowflake di Cervinia, il suo stile tendeva al classico-francese, «jus, fondi, salse... Mi han detto però che, per Milano, serviva alleggerire un po'. E allora mi sono messo all'opera». Un consiglio illuminato.
L'esito è infatti: Lovato ha iniziato a industriarsi per far propria l'idea di una cucina più elegante, armoniosa, contemporanea. I nostri assaggi ci dicono che ci è riuscito. È diventato un mago del vegetale: strepitoso il Carciofo, rosmarino, tè nero Lapsang, germogli e salsa al dragoncello, eccellente anche il Cardoncello piastrato e glassato con salsa di porro e aglio nero, salsa al prezzemolo e cima di rapa spadellata, praticamente una bistecca.
Poi dimostra un feeling particolare pure con le carni, perché è chef a tutto tondo: deliziosa la Quaglia in doppia cottura, interessante e tecnico il Piccione (coscetta confit e poi bbq, petto spadellato glassato col suo fondo alla mora, polvere di ibisco e di ginepro, filettino marinato al sale Maldon), come la Lingua al bbq, salsa verde, bagnetto rosso ai peperoni, cipollotto.
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classe 1974, giornalista professionista, si è a lungo occupato soprattutto di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa esattamente l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta sui viaggi e sulla buona tavola. Caporedattore di identitagolose.it