Erano anni che a Torino non apriva un ristorante così: classico, elegante, con un tocco di sussiego, evidentemente pensato per la borghesia, quella che sa mangiare, vuole stare tranquilla e non bada troppo al conto (anche se siamo sempre a Torino, città oculata). Dunque è stata davvero una bella notizia quando la famiglia Cometto ha cooptato uno dei più promettenti cuochi cittadini – Stefano Sforza, che stava riscuotendo successi all’Hotel Turin Palace – e l’ha incastonato in questo locale grande e importante.
Le sale – tante, anche al piano di sotto – hanno l’imponenza old fashioned dei mattoni a vista, delle volte, delle poltrone, dai pavimenti in legno. In una cornice così, ci si potrebbe aspettare una cucina opulenta, di agnolotti e brasati,magari di evocazioni toscane anni Sessanta (quando erano i toscani a fare grandi i ristoranti torinesi) e invece no: questo è il bello di Opera, che è un luogo non comune.
La cucina di Sforza infatti è tutta sferzate e acidità, freschezza e contrappunti,q uanto di meno tradizionale ci sia a un passo dalla Mole. L’Animella incontra l’uva in carpione, il risotto c’è ma è affumicato con alici, finocchietto e bottarga. C’è anche il raviolo, ma è di pollo, al coccio, con il ragù di funghi, il piccione è in carta ma con banana e il curry, il diaframma è al bbq, con rapa rossa e kumquat.
Vedete? Tante idee intrecciate,Oriente e Occidente, dolce e acido, il tutto condito da un servizio coreografato da Quartiero Perlo, ricco di idee. E,colpo di scena, i torinesi apprezzano: che li si rappresenti più conservatori di quel che sono?
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viaggia e mangia per Lonely Planet, Osterie d'Italia, Repubblica e la collana I Cento (EDT). Ha scritto "Dire Fare Mangiare" (ADD), "Cibo di strada" (Mondadori), "Il Gusto delle piccole cose" (Mondadori Electa) e "Qualcuno sta uccidendo i più grandi cuochi di Torino", ama andar per trattorie e ristoranti di blasone portandosi dietro una moglie riottosa e due figli onnivori