Che la pizza di Bæst sia tra le migliori in Europa, è ormai un fatto che prescinde dalla sfilza di premi che lo attesta - così come dalla sua capacità di stemperare qualsiasi presa di posizione conservatrice, anche tra gli italiani più burberi. Perché ancora non legittimato da una voce in dizionario tutta sua, ci si potrebbe soffermare per ore a descrivere quel particolare fenomeno secondo cui, alla minima pressione tra lingua e palato, il vapore contenuto nell'alveolatura della crosta riesce letteralmente a sciogliere in bocca l'impasto.
Limitare però l'esperienza da Bæst alla sola pizza (che comunque investe un ruolo centrale, sia nel menù che nell'idea alla base dell'identità del ristorante) potrebbe essere alquanto riduttivo, non foriero di giustizia verso tutti quei prodotti di squisita e disarmante semplicità che prendono vita nei laboratori interni, dal caseificio al salumificio.
Bæst ristabilisce un giusto metro di paragone che spazza, una volta per tutte, la percezione erronea per cui il "fatto in casa" sia un sufficiente sinonimo di qualità e di buon gusto. La burrata, la mozzarella e il prosciutto sono davvero buoni, perché frutto di una selezione pensata e sensata della materia prima quanto di una profonda curiosità sulla techné - i metodi di lavorazione ottimizzati in funzione di quella sostenibilità che da sempre costituisce il chiodo fisso di Puglisi e dell'intero gruppo. A riprova, ne sono innanzitutto le portate in menù che prevedono una rilavorazione bassissima o nulla dei prodotti, e ovviamente la pizza, di cui sono indiscussi protagonisti.
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convinta che si possano cavare storie anche dalle rape, lavora su strategie di comunicazione e sulla redazione di contenuti per Slow Food Editore, riviste e aziende del mondo gastronomico