Alberto Gipponi, sul cui talento abbiamo scommesso da tempo, è uno chef tormentato, nel senso che è tra i pochi a interrogarsi quotidianamente sulle proprie scelte, a ragionare tra sé e con i colleghi sulle linee di fondo del proprio lavoro, dalla sostenibilità umana alla definizione di una ristorazione per il futuro.
Ha, insomma, un profilo intellettuale, una capacità di elaborare concetti che poi trasferisce nei suoi piatti: non a caso la sua è stata a lungo considerata una cucina profonda, spiazzante, magari di approccio non semplicissimo. Peraltro di enorme interesse. Così il suo sforzo creativo in questi anni è stato duplice: mantenere tale sua identità che lo colloca a nostro giudizio tra i migliori in Italia, in assoluto; e nello stesso tempo risultare più inclusivo, perché se, come mette nero su bianco, «niente mi rende più felice di dare felicità al commensale» ecco che è bello far sì di accedere alla gioia della sua tavola a più persone. Ha trovato un'ottima sintesi per soddisfare entrambe le pulsioni.
Alcuni suoi piatti sono clamorosi. Piccione, rapa rossa e prezzemolo è forse il miglior piccione mai assaggiato da chi scrive; Pollo tra Georges Blanc e Mugaritz è magistrale; Cozze, crema di aglio dolce, caffè e balsamite un geniale sberleffo all'ovvio, come anche Quaglia, crumble di cacao e whisky, mou alla salvia, crema di pinoli, gelatina al whisky e brodo di quaglia, miele e spezie (un dessert!).
Ora Gipponi sta lavorando sulla pasta, presto proporrà un menu appositamente dedicato. Andremo ad assaggiarlo e aggiorneremo questa scheda, perché ci sarà tanto da dire.
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classe 1974, giornalista professionista, si è a lungo occupato soprattutto di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa esattamente l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta sui viaggi e sulla buona tavola. Caporedattore di identitagolose.it