Il piccione che chi scrive ha gustato al Dina di Alberto Gipponi è fenomenale, uno dei migliori di sempre (il migliore?). Piccione, rapa, prezzemolo. Semplice semplice: il petto del volatile è racchiuso tra fogli di composta di rapa rossa disidratata, poi passati al cannello una volta messi a far da involucro; il tutto adagiato sulla salsina verde erbacea. Stop. Essenzialità pura. Concetti di cucina che si traducono in assaggi golosi e raffinati. Ci sono sentori splendidi, la salsa di prezzemolo e la carnosità del piccione a far da vettore, esplosione di dolcezza e ferrosità in bocca, le note vegetali, il sapore avvolge pienamente il palato con la texture che al morso pare tenace eppure, appena i denti affondano, si dimostra scioglievole, sensuale.
È stato il punto più alto del nostro pasto; ma esemplifica bene l'evoluzione dello chef: da una parte una linea di cucina più semplice, premiata dal pubblico (a partire dai mitici Casoncelli crodi ma cotti); dall'altra quella sempre "spinta", personale, eppure più strutturata che in passato, più meditata. Gipponi col freno tirato? «No, sono anzi convinto di andare più veloce. Rimango fedele a me stesso. Ma non siamo Mugaritz, anche la signora dei dintorni trova adesso piatti in grado di accontentarla. Siamo artigiani, no?».
Concordiamo. E aggiungiamo: lui in realtà non è mai stato così a fuoco nel calibrare al meglio la propria vena creativa. Gipponi conferma il suo tocco micidiale e un po' folle, ma sa dialogare su più livelli e diventa così persino inclusivo. Per quanto ci riguarda, noi al Dina non abbiamo mai mangiato meglio.
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classe 1974, giornalista professionista, si è a lungo occupato soprattutto di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa esattamente l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta sui viaggi e sulla buona tavola. Caporedattore di identitagolose.it